Schede informative per comprendere meglio la dipendenza da droghe e i comportamenti di dipendenza

Alcune cose che sappiamo già

  1. Abbiamo visto, nelle schede precedenti, che l’addiction è una condizione patologica che risulta dalla combinazione di fattori biologici, psicologici, culturali, ambientali. Non basta uno solo di questi aspetti per rendere ragione dello sviluppo dell’addiction, mentre è sempre necessario, pur in proporzioni variabili da caso a caso, che alla predisposizione biologica si uniscano gli aspetti emotivi, che questi diventino un modo di “sentire” se stessi e gli altri, che si formino convinzioni, aspettative e un certo modo di pensare e che l’ambiente circostante faciliti o permetta certi modi di essere e di comportarsi. Ricordarsi di questo permette di rendersi conto fin dall’inizio che difficilmente un solo e specifico intervento terapeutico può essere sufficiente per affrontare il problema.
  2. È noto a tutti che cos’è l’effetto placebo (l’aspettativa che il farmaco faccia bene) o nocebo (l’aspettativa che il farmaco faccia male), cioè l’insieme di quegli effetti dei farmaci sperimentati dal paziente, positivi o negativi, che non sono giustificati dalla semplice chimica, ma che derivano da altre componenti, di tipo psicologico o culturale come le credenze o le aspettative. Il rapporto che ogni persona ha con i farmaci non è neutro, ma avviene in una cornice fatta di timori o speranze, di fiducia nel medico o diffidenza, di convinzioni a favore o contro i farmaci, di informazioni raccolte su internet o da conoscenti, oltre ai più vari elementi che possono produrre sensazioni come la dimensione della compressa, il colore della confezione, il sapore del prodotto. A volte si è ostili al farmaco perché non si riesce ad accettare di avere una malattia, o lo si assume volentieri perché si spera di trovare finalmente sollievo: questi atteggiamenti possono influenzare, almeno in parte, la percezione dei benefici o degli effetti indesiderati che si ottengono. In altri termini, l’efficacia del farmaco e la produzione di effetti terapeutici o indesiderati dipende anche da fattori non strettamente farmacologici. Questo aspetto ha notevole importanza in una condizione come quella dell’addiction, in cui gli aspetti emotivi dominano la scena e il rapporto di fiducia con il terapeuta è da sviluppare tra paure e speranze, tra richiesta di aiuto e reticenze.
  3. Sono molto diffusi i pregiudizi sugli psicofarmaci. Mentre altri farmaci (ad esempio antibiotici e antidolorifici) vengono assunti da gran parte della popolazione senza troppe preoccupazioni, i farmaci che agiscono sulle funzioni psichiche spesso suscitano diffidenza, paure, rifiuto. Gli psicofarmaci evocano sensazioni tanto ingiustificate quanto frequenti: vengono vissuti come segno di debolezza e di incapacità di farcela da soli, o si teme che la propria personalità si modifichi e non si sia più se stessi, o li si vive come la conferma che si è “matti”. Dato che il pregiudizio è diffuso, possono suscitare un senso di vergogna nella persona che li assume anche quando hanno effetti terapeutici molto positivi: così non viene data testimonianza dei benefici ottenuti e non viene scalzato il pregiudizio collettivo. Logicamente, questo specifico pregiudizio genera un effetto placebo negativo (effetto nocebo) che influenza molto la conduzione della terapia con psicofarmaci, che spesso possono essere utilizzati nella terapia dell’addiction.

I farmaci e le droghe: logiche diverse

A volte chi richiede una terapia per l’addiction si aspetta che esistano farmaci capaci di cancellare il desiderio della droga e di dare un completo equilibrio psicofisico, come se potessero rigenerare la persona proiettandola in una realtà di completo benessere. Insomma, alcuni si aspettano che siano disponibili farmaci che funzionano come le droghe producendo potenti trasformazioni nella persona e confrontano le sensazioni che dà la terapia con quelle prodotte dalle sostanze d’abuso.

Ma bisogna tenere conto del fatto che i farmaci, per definizione, non hanno la capacità e la potenza di gratificazione che hanno le droghe. 

Chiariamo meglio questa affermazione.

Nella ricerca e nello sviluppo di un farmaco si fa attenzione al suo potenziale come droga d’abuso: se si verifica che può provocare un’addiction, non viene messo in commercio o viene sottoposto a restrizioni molto severe. Questo significa che i farmaci di uso corrente non producono effetti simili a quelli delle droghe né come piacevole sedazione né come stimolazione euforica. 

I farmaci che in genere si usano nei casi di addiction hanno altri scopi che non quelli di dare le sensazioni delle droghe: cercano di controllare i sintomi da sospensione (ad esempio, per la sindrome da astinenza da alcol), di migliorare l’umore complessivo e di ridurre la tensione ansiosa, di tenere sotto controllo l’angoscia, la rabbia, i pensieri disturbanti, di migliorare il sonno e la sensazione di energia, di gestire i sintomi e i disturbi che possono rendere difficile il percorso di cura; cercano cioè di creare le condizioni sulle quali una persona può fondare il suo percorso terapeutico anche di tipo psicologico e riabilitativo, sollevato da sensazioni psichiche o fisiche negative.

I farmaci, quindi, non possono essere messi sullo stesso piano delle droghe e non possono cancellarne il ricordo: hanno scopi, meccanismi ed effetti molto diversi. Tuttavia, se questo può lasciare insoddisfatto chi desidera trovare la “pillola magica” che dia solo gli effetti positivi delle droghe senza tutti i problemi che queste si portano dietro, si rivela invece un vantaggio fondamentale per chi affronta un percorso di superamento dell’addiction proprio perché rappresenta un aiuto senza riprodurre la dipendenza.

Le Benzodiazepine (BDZ)

Un discorso specifico va fatto per le Benzodiazepine (BDZ), che sono farmaci per l’ansia e l’insonnia estremamente diffusi e facilmente (troppo facilmente) prescritti a persone di tutte le età. Nel mondo occidentale le BDZ sono presenti in quasi tutte le case e le situazioni di assunzione al di fuori della prescrizione medica e di abuso sono molto frequenti. 

Spesso sono erroneamente e imprudentemente prescritte anche al posto degli antidepressivi, perché fanno meno impressione al paziente e al medico: un po’ d’ansia non spaventa, riconoscere di essere depressi richiede più coraggio e più competenza.

Le BDZ hanno grande popolarità perché danno un notevole senso di sollievo dalle tensioni, calmano, mettono nelle condizioni di affrontare ciò che spaventa, di rilassarsi quando qualcosa agita, facilitano il sonno; inoltre, non danno effetti indesiderati particolarmente evidenti perchè gli effetti collaterali sono coperti dalla sedazione e dal rilassamento muscolare che sono anche gli effetti desiderati. Per di più, anche se ingerite in grandi dosi, non comportano rischi per la vita: chi si fa un’overdose di BDZ resterà incosciente a lungo, ma non morirà.

Però ci sono dei contro. Uno è la “tolleranza”, cioè l’abitudine agli effetti per cui è necessario aumentare sempre di più la dose per ottenere i risultati ricercati: alcune persone arrivano ad assumere quantità molto importanti di BDZ, al di sopra di quelle terapeutiche, con tutti i problemi che questo comporta, dall’approvvigionamento che deve percorrere vie non lecite fino alla dipendenza. 

Un altro è che gli effetti positivi delle BDZ creano un legame di dipendenza psicologica importante: senza avere il farmaco a disposizione la persona non si sente più in grado di affrontare le situazioni normali della vita e quando resta senza non riesce più a fare cose normali come uscire di casa, affrontare le persone, dormire. Questa abitudine diventa un problema che spesso è difficile risolvere.

Ancora, le BDZ danno anche dipendenza fisica e la sospensione brusca è pericolosa e può dare una grave crisi di astinenza, fino alle convulsioni epilettiche. Ma anche la sospensione graduale dà problemi, per cui si ripresentano ancora più aggravati i problemi di ansia, tensione, irritabilità, insonnia che si pensava di superare con le BDZ. Le BDZ, infatti, non risolvono i disturbi, ma eliminano i sintomi che li rendevano avvertibili.

Un altro ancora è che l’effetto sedativo, anche se non è pienamente percepito dalla persona, rallenta le reazioni e compromette il giudizio, esponendo a pericoli (ad esempio, alla guida). L’effetto sedativo, poi, può “trascinare via” le persone che vivono periodi particolarmente difficili della loro vita e fanno fatica a trovare vie di uscita: “impasticcarsi” può diventare il rito giornaliero che isola e allontana dai problemi ma anche dalla situazione reale.

Inoltre, alle BDZ vengono riferiti disturbi cognitivi come danni alla memoria e la riduzione delle capacità intellettive degli assuntori cronici. Questi effetti sono particolarmente evidenti con certi tipi di BDZ capaci di penetrare nel cervello in modo molto rapido e di dare effetti intensi.

In sintesi si tratta di farmaci di difficile utilizzo, che espongono le persone che hanno altre addiction a usarli come fossero una droga. Inoltre è possibile e assolutamente consigliato usare altre categorie di farmaci più sicuri e anche più efficaci, anche se meno popolari: per questi motivi IEUD non prescrive le BDZ ai propri pazienti (tranne casi molto particolari, come gravi sindromi da astinenza da alcol) e utilizza farmaci più appropriati e meno problematici.

I farmaci per il craving

Uno dei problemi centrali dell’addiction è il craving, cioè l’urgenza di assumere la droga che insorge improvvisamente o in modo subdolo e diventa una ossessione tormentosa (si veda scheda sui termini dell’addiction).

Se una persona è tranquilla, può più facilmente e lucidamente cercare di tenere fede alla decisione di non riprenderne l’uso di droghe; ma se è sotto la pressione di un desiderio fortissimo, di un pensiero dal quale non riesce a distrarsi è molto più difficile stari saldi nei propri propositi.

Per questo si è cercato di trovare dei farmaci che potessero attenuare questo desiderio. Purtroppo, il meccanismo del craving è poco conosciuto, ma si sa che è complesso e determinato da molti fattori, fisiologici, psicologici, ambientali il che rende difficile ottenere risultati mirando un solo meccanismo e mettere a punto farmaci efficaci.

Tuttavia alcuni farmaci sono stati proposti per il craving ed è utile, in certi casi, fare un tentativo terapeutico: si possono ottenere buoni risultati, ma soprattutto in questo caso la collaborazione paziente-terapeuta è fondamentale, perché si dovrà procedere empiricamente per tentativi personalizzando la cura.

Per il craving è stata proposta anche la TMS, Stimolazione Magnetica Transcranica, una tecnica di stimolazione cerebrale indolore e ben tollerata, di cui si parla in una apposita scheda.

L’utilità della terapia farmacologica nell’addiction

Da quanto sopra, risulta chiaro che i farmaci se da una parte non rappresentano una souzione magica, dall’altra sono un supporto molto utile, da valutare attentamente in ogni caso specifico, e sono una delle fondamenta dell’intervento terapeutico.

Sono irrinunciabili nella disintossicazione per gestire i sintomi di astinenza; sono importanti e molto utili dove ci sono emozioni forti (rabbia, tristezza, angoscia), stati d’animo (depressione, agitazione, iperattivazione), pensieri ossessivi o disturbanti o condizioni funzionali (insonnia, stanchezza, disturbi viscerali o danni agli organi) che compromettono il benessere e rendono più difficile affrontare con successo l’addiction; sono da provare se c’è un craving molto potente.

In tutti questi casi è fondamentale la collaborazione paziente-medico, così come l’integrazione del trattamento farmacologico con gli interventi psicoterapeutici e riabilitativi, per poter affrontare l’addiction nelle sue diverse dimensioni senza illusioni e erronee semplificazioni.