L’importanza della collaborazione interdisciplinare nella terapia delle dipendenze patologiche

IEuD ha elaborato una serie di test di autovalutazione totalmente anonimi, che permettono di evidenziare il rischio di un uso dannoso o dell’instaurarsi di una vera e propria dipendenza nei confronti di una sostanza legale o illegale.

Strutturati a partire da testi autorevoli a livello internazionale offrono, attraverso una serie di domande mirate, un’opportunità per conoscere i propri pattern di consumo riguardo all’uso di alcol, cocaina, benzodiazepine, cannabinoidi, metanfetamine e oppioidi.

Risultati estrapolati alla fine del 2023 hanno permesso di evidenziare una raccolta, nell’anno, di oltre 17.000 questionari di cui 10.362 sull’alcol e 4.158 sulla cocaina. 

Rispetto al consumo di alcol si è evidenziato come 1 persona su 4 (25,6%) potrebbe già aver sviluppato una probabile dipendenza da alcol e poco meno della metà (47,2%) presenterebbe un rischio medio-alto di svilupparla. Per quel che riguarda i pattern di consumo, poco meno del 50% (49,4%) del campione dichiara di avere una modalità “binge drinking”, cioè di consumare 5 o più bevande alcoliche in un’unica occasione almeno una volta alla settimana. 

Per quello che riguarda l’uso di cocaina, i risultati mostrano che 1 persona su 5 (20,6%) potrebbe aver sviluppato una dipendenza da cocaina e circa il 45% del campione riferisce problemi nel controllare l’uso della sostanza

L’interesse mostrato dal pubblico sul nostro sito per questi test, insieme all’evidenza di sempre più numerosi contatti che IEuD riceve da parte di psicoterapeuti e professionisti che ci chiedono collaborazione per approfondimenti diagnostici su casi da loro seguiti, ci fanno ipotizzare che questi stessi questionari possano essere uno strumento utile per un professionista che voglia approfondire una condizione di potenziale dipendenza espressa da un proprio paziente. 

Non certo la novità, ma piuttosto la vastità del fenomeno dipendenze patologiche porta sempre più persone a rivolgersi a servizi di cura che, soprattutto per quanto concerne le dipendenze da alcol e cocaina, non sempre sono in grado di rispondere in modo esaustivo ad un fenomeno così vasto e complesso. 

Così sempre più spesso le persone si presentano a terapeuti privati perché non sentono sintoniche alcune modalità di risposta; per esempio, accade che chi teme di avere un problema di abuso di alcol concentrato in binge-drinking sociali nel fine settimana, non si riconosca nelle strutture della sanità pubblica, o non riesca a stare in tempistiche troppo dilatate, e si rivolga all’offerta trattamentale specialistica privata.

Trattare da soli, nel proprio studio privato, un problema di dipendenza, può essere estremamente difficile e frustrante. Le letture interpretative della dipendenza sono molteplici e risentono dei percorsi formativi, personali ed esperienziali dei diversi terapeuti. Trattare una dipendenza, anche con terapia farmacologica, richiede un impegno che tocca il terapeuta nel profondo, e che talvolta può oscillare tra un’interpretatività che per quanto valida, non apporta magari nessun cambiamento nello stile/quantità/frequenza di assunzione e, dall’altro lato, vissuti di espulsività difronte alle continue ricadute e fallimenti.

Le neuroscienze cognitive ci hanno illustrato efficacemente cosa accade nel cervello a fronte dell’assunzione di una sostanza (il come), ma sul perché possiamo dirci, oggi, che non esiste nessuna teoria che renda conto in modo unico ed esaustivo del fenomeno dipendenze.

La filosofia di IEuD si basa su una concezione della dipendenza patologica come di una patologia della relazione che si realizza e si esprime nella relazione tra tre elementi: il soggetto, la sostanza/comportamento e l’ambiente/cultura.

A partire da questa visione, ne consegue che diagnosi e trattamento di una dipendenza non possono essere lasciati ad un unico sguardo sul soggetto/paziente, ma necessitino di un approccio multidimensionale e multiprofessionale. Il trattamento viene conseguentemente considerato un percorso concordato all’interno di una relazione contrattuale tra paziente e terapeuti, e che procede per obiettivi declinati in esiti e tempi. 

La gestione clinica per obiettivi permette di modificare la salienza affettiva del legame/relazione tra la persona e l’addiction, dove uno dei punti teorico/pratici cardine di IEuD è proprio la centralità della trasformazione dei processi affettivi di base nelle patologie da dipendenza. 

I nostri riferimenti neuroscientifici si rifanno soprattutto alle Neuroscienze Affettive di Jaak Panksepp e alla psicologia evoluzionistica. I nostri specialisti arrivano da formazioni e specializzazioni diverse, sintoniche ai diversi casi, alle diverse fasi del problema in cui la persona si presenta, al suo livello di motivazione, alle risorse sociali: ogni situazione viene vista nella sua singolarità ed unicità, dando origine a trattamenti fortemente personalizzati.

Ad oggi riceviamo in IEuD richieste di presa in carico che avvengono sia in maniera diretta (un professionista comunica il nostro riferimento al paziente), sia indiretta (invita il paziente a prendere contatto con un centro specializzato nella cura delle dipendenze). In entrambi questi casi il percorso iniziato può essere ancora attivo e proseguire: IEuD favorirà l’integrazione con il terapeuta, ritenendo la multi-professionalità e l’interdisciplinarietà strumenti fondamentali della cura. 

Attraverso su uno scambio comunicativo tra i diversi professionisti che permette di allineare e di indirizzare verso gli obiettivi della cura, la persona potrà così essere seguita da IEuD per la parte medico/farmacologica mantenendo il percorso psicoterapeutico iniziato, oppure veder affiancare uno psicoterapeuta IEuD per sostenere un trattamento farmacologico già in atto con lo/la psichiatra.

Tra le richieste di presa in carico (o di consulenza da parte di famigliari) accade di frequente che molte di queste arrivino da persone che sono state in terapia (anche con più percorsi alle spalle) e che approdano autonomamente a noi, esprimendo una richiesta che affonda radici in un problema di perdita di controllo di una sostanza (o di un comportamento) magari taciuta nei precedenti percorsi o, se affrontata, non risolta (uso/comportamento attivo).

Utilizzare un questionario di autovalutazione all’interno di una relazione terapeutica può essere una modalità utile per aiutare un paziente a prendere consapevolezza della possibile esistenza di un rischio, attraverso una distanza protettiva fornita dal questionario stesso nei confronti della relazione con il terapeuta. Il risultato del questionario potrà essere un nuovo punto di partenza, o l’inizio di un viraggio, la fine di una negazione o di uno spostamento difensivo.

Declinato e utilizzato attraverso la sensibilità del terapeuta e della conoscenza che ha del paziente, riteniamo che questa modalità possa essere una buona opportunità non solo in termini di integrazione, diffusione e scambio di competenze, ma anche una possibilità per rispondere clinicamente in modo aperto, integrato e mai riduzionistico ad un problema così complesso perché riguarda la radicalità del nostro esistere e dei nostri funzionamenti: cognitivi, affettivi, biologici, sociali e culturali.