In una recente intervista rilasciata da Nora Volkow, psichiatra e Direttrice del National Institute on Drug Abuse (NIDA), al New England Journal of Medicine (NEJM) la Dott.ssa Volkow ha ribadito e spiegato l’importanza di combattere lo stigma associato al disturbo da uso di sostanze.

Lo stigma nelle addiction

Lo stigma è il “marchio” con cui vengono indicati gli appartenenti ad una data categoria di persone giudicate come diverse e portatrici di un valore negativo; nei loro confronti la società nutre un senso di ostilità, disprezzo, discriminazione e rifiuto. 

L’addiction è certamente oggetto di stigmatizzazione e questo genera una forte resistenza nel riconoscere la dipendenza (da sostanze o comportamentale) come malattia e ne ritarda l’accesso alle cure. In campo scientifico, è ormai ampiamente acquisito che l’interazione fra una certa predisposizione genetica e l’esposizione ad un certo ambiente determinano la probabilità di sviluppare una dipendenza patologica.

Non è facile, d’altro canto, capire che qualcuno possa aver perso la capacità di controllare comportamenti che altri danno per scontati, automatici e gli atteggiamenti antisociali di cui questi pazienti sono a volte protagonisti possono risultare dolorosi ed insopportabili come pure alimentare paure che finiscono per rafforzare lo stigma.

Tuttavia, l’isolamento in cui finisce per ritirarsi gran parte delle persone con disturbo da uso di sostanze li rende più vulnerabili alla malattia, alle recidive durante il percorso di cura e favorisce la ricerca di una sorta di automedicazione pericolosa quanto inefficace.

Non esiste poi un chiaro ed univoco protocollo di cura cui fare riferimento per il trattamento dell’addiction e le soluzioni terapeutiche sono relativamente limitate rispetto ad altre patologie; il percorso di cura è spesso instabile per le possibili ricadute e non è sempre facile relazionarsi con il paziente, specialmente in alcune fasi della malattia.  

La stessa classe medica ed il personale sanitario in genere, seppure inconsapevolmente, sono spesso protagonisti di comportamenti stigmatizzanti ed occorre ancora molta formazione perché l’addiction sia correttamente inquadrata e gestita come una condizione medica.

Combattere lo stigma

Per combattere lo stigma associato al disturbo da uso di sostanze, Nora Volkow elenca tre direttrici fondamentali su cui intervenire:

  1. Componente STRUTTURALE: Umanizzare il tema favorendo la diffusione di un’adeguata formazione delle professioni sanitarie, migliorare l’accesso alle cure specialistiche.
  2. Componente SOCIALE: Educare le persone su cosa sia l’addiction in modo da poter familiarizzare con il problema e la sua diffusione favorendo l’inclusione delle persone dipendenti nella vita di tutti.
  3. Componente INDIVIDUALE: Evitare un linguaggio stigmatizzante, usare termini che riconoscono l’altro come persona, individuo, contrastando così il senso di rifiuto sociale. Utilizzare una terminologia appropriata, corretta e rispettosa della persona permette una ridefinizione cognitiva che è parte stessa della cura.

Esempi di linguaggio

Alcuni esempi sul linguaggio 

SINO
DIPENDENZA PATOLOGICA, DIPENDENZA, PROBLEMA DI USO DI SOSTANZATOSSICODIPENDENZA
PERSONA CON DIPENDENZA, PAZIENTETOSSICO, DROGATO
PERSONA CON DIPENDENZA DA ALCOLALCOLIZZATO, UBRIACONE
IN GUARIGIONE, NON BEVE O NON FA USO DI SOSTANZEPULITO 
PERSONA CON DIPENDENZA DA COCAINA COCAINOMANE
UTILIZZO DI FARMACI FUORI PRESCRIZIONE IMPASTICCARSI

Queste indicazioni sono certamente utili e si concentrano sugli aspetti razionali e cognitivi del problema. Per quanto riguarda l’Italia, occorre tuttavia considerare che la nostra cultura sociale non è necessariamente orientata al politically correct, all’inclusione, al rispetto del diverso. 

Gli interventi educativi devono dunque riuscire ad accedere alle dimensioni emotive e affettive meno consce e meno controllate per poter essere efficaci e indurre cambiamenti sostanziali e duraturi nel tempo.

IEUD mette la massima cura nel proteggere dallo stigma i suoi clienti attraverso la più alta attenzione alla riservatezza; allo stesso tempo impegna tutte le proprie energie nel confronto con i pazienti ed i loro familiari per far comprendere che la dipendenza rappresenta un funzionamento molto più diffuso e sottile di quanto si pensi. La presa di coscienza che relazioni affettive, eventi di vita, esperienze e pressioni ambientali costituiscono una sfida per ciascuno, permette di guardare all’altro con maggiore apertura e tolleranza. Su questa base è possibile, poi, sviluppare l’intervento terapeutico, avendo sgombrato il campo da pregiudizi, discriminazioni e false aspettative.