Spesso nelle famiglie di persone con tossicodipendenza aleggia un senso di colpa molto forte: quello della persona dipendente che si auto-biasima per aver arrecato dolore alla famiglia, sperperato soldi, deluso chi lo amava. Ma anche quello dei famigliari stessi che si interrogano su responsabilità, omissioni, errori. Talvolta si assiste invece ad una deresponsabilizzazione, ad un reciproco incolparsi, al tentativo di porre il problema sempre nell’altro e fuori da sé. Sono questi i nuclei famigliari più conflittuali: si pensi a quei genitori che non vogliono più saperne del figlio che si droga o a quei partner che imbastiscono relazioni logoranti e distruttive dove si alternano speranze di guarigione e promesse perennemente infrante.

Purtroppo questi ed altri vissuti sono spesso centrali in un nucleo famigliare che affronta una crisi di questo tipo. Un rinforzo alle famiglie, dunque, è decisamente auspicabile. E’ fondamentale infatti un percorso di accompagnamento e di sostegno emotivo ma anche un aiuto a dare significato agli eventi, senza necessariamente poterli controllare ma imparando a gestirli da protagonisti e non da spettatori impotenti.

Le famiglie dei tossicodipendenti sono una risorsa o problema?

Nell’ambito delle tossicodipendenze, per le ragioni appena descritte, assistiamo spesso ad un coinvolgimento dei famigliari nel processo terapeutico. Tuttavia il modo in cui vengono considerati dagli addetti ai lavori è spesso in bilico tra il vederli parte del problema oppure possibili alleati dei curanti.

Nelle tossicodipendenze c’è spesso famigliarità. Non è raro imbattersi in contesti famigliari dove fratelli o genitori fanno o hanno fatto anche loro uso di sostanze. In questi casi la famiglia è il luogo primario dove il cliente ha imparato modalità disfunzionali di prendersi cura delle sue emozioni negative. E’ chiaro che una famiglia di questo tipo per poter essere d’aiuto debba prima farsi aiutare a sua volta;

A volte nelle famiglie dei clienti non ci sono evidenti problematiche psichiatriche o di dipendenza. Questo ovviamente non significa che non sussistano dinamiche relazionali malsane che col tempo si sono incistate e hanno ostacolato lo svincolo e l’autonomia di alcuni suoi membri. Tuttavia queste famiglie possono diventare alleate dei curanti nella misura in cui si rendono recettive di fronte a consigli e suggerimenti nella gestione del loro caro e della sua problematica di dipendenza.

Nella cura di una dipendenza: il paziente che cosa dice?

Va da sé che la decisione di coinvolgere i famigliari spetta innanzi tutto al paziente che può anche decidere se accettare o meno che questi vengano informati sul suo percorso di cura.

Alcuni clienti infatti rifiutano il coinvolgimento dei famigliari poiché li vedono come “controllori” non voluti e considerano l’emancipazione dalla sostanza alla stessa stregua di un affrancamento da relazioni famigliari troppo strette. Altre volte la partecipazione dei famigliari viene esclusa laddove c’è il tentativo di proteggerli oppure un senso di vergogna e la paura di deluderli;

In altri casi il cliente vuole coinvolgere i famigliari anche per dimostrare loro la sua ferma intenzione di “fare il bravo” oppure in tutte quelle famiglie dove la dipendenza reciproca è molto forte e i confini tra i suoi membri non sono ben differenziati.

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La scelta dei famigliari per aiutare un tossicodipendente

Anche le famiglie reagiscono in maniera diversa di fronte all’eventualità di essere coinvolte in un percorso terapeutico.

Alcune accettano di buon grado. In questi casi i famigliari cercano un aiuto per gestire il problema del loro caro spesso ponendosi come co-terapeuti o, nella peggiore delle ipotesi, in antagonismo coi curanti;

Altre, invece, non ne vogliono proprio sapere e non accettano i problemi di dipendenza del figlio o partner. In questi casi il dolore si trasforma in rabbia, rifiuto, delusione e i famigliari si dicono pronti a riprendere i contatti solo di fronte ad una chiara e costante dimostrazione di cambiamento da parte del loro caro. Queste scelte, talvolta così radicali da portare gli stessi a tagliare completamente i ponti con il loro membro malato, devono essere rispettate. Tuttavia è difficile pensare che possano mettere la parola fine ad un dolore privato che, se non elaborato, presumibilmente continuerà ancora.

Ma quale tipo di aiuto è migliore?

Una volta che i famigliari hanno accettato di prendere parte all’iter trattamentale, la definizione del loro ruolo non è affatto scontata.

In alcuni casi il nucleo famigliare chiede aiuto nella mera gestione del problema. Non c’è l’interesse di capire come si è arrivati a quel punto, che senso assume la tossicodipendenza del loro caro nelle trame famigliari plurigenerazionali. La famiglia non cerca risposte e significati ma un apporto concreto, immediato e il più possibile efficace;

In altri frangenti la famiglia tutta o parte di essa si interroga su di sé e sulle proprie responsabilità. Non accetta l’equazione semplicistica del “paziente designato” origine e causa di tutti i mali ma si apre ad una messa in discussione che faccia riflettere i suoi membri sul modo in cui sono stati genitori, partner, fratelli o sorelle. Ciò apre alla possibilità di una vera e propria presa in carico terapeutica dove il famigliare è aiutato a riflettere su di sé non tanto per alimentare uno sterile senso di colpa quanto per aiutarlo a dare significato a quanto successo.

In conclusione

Come specialisti che operano nel settore delle dipendenze, riteniamo importante un coinvolgimento della famiglia poiché, in questi casi, la sofferenza è molto forte e necessita di essere orientata in modo efficace senza scadere nell’abbattimento e nell’autocommiserazione ma rinfocolando con ostinazione la fiammella della speranza.

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Dipendenza da Cocaina

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