Psicosi, dipendenza, vomito cronico: i prodotti con cannabinoidi (THC) in circolazione non sono più l’erba degli anni ’60 – ‘70 e i consumatori si ammalano
Tratto da un articolo del NYT del 23.06 a firma di Christina Caron

Dagli anni ’80 al nuovo millennio

Fino alla fine degli anni ‘80, la concentrazione media di THC, la componente psicoattiva della marijuana, era di circa il 4% nell’ “erba” comunemente reperibile, per poi crescere stabilmente, attraverso ibridazioni di specie diverse di cannabis native, fino a raggiungere, cinque anni fa, un valore medio del 17%, con punte del 25% per la cosiddetta “skunk”.

Tuttavia, l’arrivo sul mercato degli estratti o concentrati di cannabis nel primo decennio del 2000 ha dato vita ad un nuovo segmento di mercato in rapida espansione, che è completamente legale in alcuni Paesi. I consumatori di questi prodotti (oli, cera, cristalli) sono particolarmente esigenti (non sono più i ragazzini che rollavano qualche cartina, ma esperti dotati di sofisticati strumenti tecnici idonei a ottenere da ogni tipo di prodotto specifici risultati sensoriali e psicotropi) e l’elevata qualità e concentrazioni raggiunte sono assicurate dalle più sofisticate tecnologie d’estrazione impiegate.

THC ad alta concentrazione

Lo Shatter (“pezzo, frammento”, detto anche Sap) e il Wax (“cera”, detto anche Crumble, Sugar, Honeycomb o Budder), sono le due tipologie di prodotti più note di questa nuova famiglia e raggiungono concentrazioni molto elevate di THC (o altri cannabinoidi come il CBD), che sfiorano anche il 90%.

Il THC, o altro cannabinoide, viene separato dagli altri composti essenziali dalla materia vegetale della cannabis attraverso l’utilizzo di solventi (un processo molto semplice ed economico) ed il prodotto finale si presenta come una gelatina viscosa piuttosto che una cera di colore opalescente tipo caramella mou, oppure cristallizzato come un frammento di vetro.

Gli estratti sono assunti attraverso una particolare tecnica di vaporizzazione, apparentemente elaborata, in realtà facilmente realizzabile, detta dabbing.

Secondo un recente articolo del New York Times, negli Stati Uniti la maggiore accessibilità dei prodotti a base di cannabis legata alla sua legalizzazione in molti Stati e gli elevati livelli di THC disponibili stanno rendendo alcuni adolescenti altamente dipendenti e pericolosamente malati.

Questa condizione è particolarmente preoccupante perché è noto come i giovani abbiano maggiori probabilità di sviluppare una dipendenza quando iniziano a usare marijuana prima dei 18 anni (Substance Abuse and Mental Health Services Administration).

Marijuana: effetti dannosi e dipendenza

La marijuana non è pericolosa quanto altre droghe ma può avere effetti potenzialmente dannosi, specialmente per i giovani, il cui cervello è ancora in via di sviluppo. 

Oltre alla sindrome da iperemesi da cannabinoidi, una condizione che provoca vomito ricorrente ed incontrollabile nei forti consumatori di marijuana e alla dipendenza, gli adolescenti che usano frequentemente dosi elevate di cannabis possono anche manifestare psicosi che potrebbero portare a un disturbo psichiatrico permanente, una maggiore probabilità di sviluppare depressione e ideazione suicidaria, deficit della memoria e della capacità di concentrazione.

Sappiamo sicuramente che esiste una relazione dose-dipendente tra THC e psicosi ed i sintomi psicotici possono includere allucinazioni in particolare di tipo uditivo (voci), difficoltà a distinguere tra fantasia e realtà, alterazioni del comportamento.

La percezione che i prodotti che derivano dalla cannabis siano tutti relativamente sicuri è profondamente sbagliata e non tiene conto  che l’alto contenuto di THC rende i prodotti di oggi molto diversi dalle canne fumate decenni fa. La “normalizzazione” del consumo di cannabis e la confidenza sviluppatasi in passato, genera oggi un drammatico equivoco che sta mettendo a rischio molti consumatori, in particolare i più giovani.

Consumatori di Cannabis

Negli Stati Uniti l’utilizzo della cannabis è autorizzato per scopi medici in 37 Stati (e Washington DC) e per finalità ricreative, compiuti i 21 anni di età, in 19 Stati (e Washington DC). Degli Stati americani, ad oggi solo Vermont e Connecticut hanno imposto limiti al contenuto di THC al di sopra del 60% per cercare di arginare il problema. D’altro canto, la Food and Drug Administration, l’ente governativo americano responsabile della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, si è fino ad oggi limitata a parziali avvertimenti senza prendere provvedimenti organici in materia perché la cannabis a livello federale è a tutt’oggi del tutto illegale.

In Italia la questione della legalizzazione è presente nell’agenda politica, ma l’evoluzione dei prodotti con THC pone la necessità di operare delle distinzioni, come porre un limite al livello di concentrazione di THC tollerato dalla Legge. Il risultato sarebbe una parziale apertura dei confini che includono le sostanze psicotrope tollerate socialmente, a fronte di un mercato che si è già spostato più avanti, con l’offerta di concentrati che è improbabile che il Legislatore possa legalizzare o depenalizzare.

La situazione non può quindi essere risolta attraverso una legge, né proibizionista né permissivista, dato il quadro generale assai complesso, turbolento e in rapidissimo cambiamento delle potenzialità tecniche e dell’offerta al consumo.

Sul piano dell’esperienza del consumatore, ogni situazione va valutata con attenzione per riconoscere l’effettivo livello di rischio e il livello del legame di dipendenza. Anche se il consumo di una canna tradizionale non classifica il “tossicodipendente”, è importante che il consumatore abbia ben presente le differenze tra la vecchia “erba”, i prodotti potenziati e gli estratti: anche se il principio attivo è lo stesso, si tratta di prodotti e di mondi completamente diversi.

Il nostro Istituto consiglia un attento approfondimento di ogni situazione specifica e una consultazione non solo dei siti che commercializzano le sostanze e dei loro esperti, ma anche di esperti clinici che possano fornire una seria valutazione dei rischi e una eventuale protezione dalle conseguenze derivanti da un uso pericoloso di cannabinoidi.