È davvero possibile sviluppare una dipendenza da Clash of Clans?
Clash of Clans è il videogioco sviluppato dall'azienda finlandese Supercell ed è uno dei giochi preferiti dagli adolescenti perché riunisce i giocatori (massimo cinquanta) in "clan" che collaborano con una gerarchia interna che prevede un capo, dei co-capi, gli "anziani" e le "reclute".

Il gioco consiste nello sviluppare un villaggio costruendo edifici e accumulando trofei, perché nella competizione tra squadre rivali, sono previsti scontri e “guerre”. Per questo il gioco prevede truppe, eserciti, per difendere i villaggi che si costruiscono, in un crescendo di attività volte a migliorare gli edifici che lo compongono. È un gioco particolarmente efficace nell’ “incatenare” psicologicamente i giocatori, agganciati dalla competizione per diventare eroi, sviluppare abilità speciali per crescere, simulare difese e attacchi. Percepirsi parte di una “squadra” alimenta poi la dipendenza, rendendo più difficile smarcarsi, sentendosi “attori” nel conseguimento della vittoria o “responsabili” nell’eventuale sconfitta. 

PEGI (Pan European Game Information, il metodo che classifica i videogiochi a seconda del loro contenuto e dell’età dei ragazzi a cui sono destinati) lo classifica come adatto a ragazzi di più di 7 anni, anche se, leggendo le motivazioni, si capisce che PEGI non lo raccomanda prima dei 13 anni. 

E’ facile sviluppare una dipendenza da questo gioco perché una delle sue caratteristiche è che, quando non si è connessi, si può comunque essere attaccati dagli avversari con la possibilità di perdere gran parte delle risorse accumulate: ecco perché Clash of Clans invita a giocare più tempo possibile, attivando quei meccanismi di “responsabilizzazione” nei confronti della squadra, oltre che nei confronti di se stessi. 

Uno dei campioni, l’americano George Yao, ha dichiarato in un’intervista al New York Times pubblicata ormai sette anni fa, che questo gioco aveva “completamente assorbito la sua vita e che il lavoro era diventato solo un semplice strumento per guadagnare i 250 dollari a settimana che gli servivano per acquistare “risorse” per conseguire risultati. L’attività ludica sparisce ben presto, lasciando il posto a meccanismi di autoesaltazione, di frustrazione, di competizione estrema. Il fatto che il gioco si possa scaricare gratuitamente ma che poi necessiti di “investimenti” da parte di chi gioca per performare meglio,ha consentito alla società che lo ha inventato di triplicare in breve tempo il fatturato e di farlo crescere ogni anno in maniera esponenziale.

Varie ricerche hanno dimostrato che i ragazzi italiani dai 13/14 anni in su giocano a Clash of Clans in una percentuale altissima (più del 50%): di questi il 20% ha dichiarato di giocarci tra le 2 e le 4 ore al giorno, mentre più del 4% ci gioca per più di 4 ore.

La dipendenza da videogiochi si può curare

Molti videogiochi destinati ad adolescenti alimentano nei propri utenti sentimenti di gioia e di esaltazione se gli “score” (i risultati) conseguiti sono positivi e sensazioni di fallimento quando si perde. Inoltre nelle chat di quasi tutti i giochi si può essere insultati, aggrediti verbalmente, offesi, sminuiti, bullizzati.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha inserito la dipendenza da videogiochi tra le malattie, riconoscendola come disturbo comportamentale.

Molti adolescenti, interrogati sul tempo che passano sulle consolle e al computer dicono “Davanti al pc mi sento al sicuro, a scuola sento spesso il giudizio degli altri, non vedo l’ora di tornare a casa per mettermi a giocare. Piano piano la mia vita è diventata mangiare, bere e giocare, l’unico obiettivo era diventare più forte, il rapporto con gli altri player virtuali, che non sapevo chi fossero, mi bastava”. Sono elementi che riconducono al pericolo della dipendenza, acuiti in questi ultimi tempi, dal lockdown dovuto all’emergenza Covid-19. 

Vietare i videogame sembra tuttavia che non sia la strada giusta ma aiutare un adolescente a uscire dalla dipendenza dai videogiochi è un percorso lungo, che ha bisogno del sostegno dello psicologo e di strutture preposte. È un disturbo che colpisce il 95% di maschi (le femmine sembrano quasi immuni dalla dipendenza da videogiochi). È il nucleo familiare nella sua interezza che deve confrontarsi con questo problema. La solitudine dei nativi digitali iperconnessi dipende dalla mancanza di dialogo con i genitori, dall’insicurezza che non trova risposta negli affetti familiari, dalla paura di rapportarsi agli altri. Si è sempre più soli davanti allo schermo della consolle, a quello dello smartphone, a quello del pc e in questa solitudine ci sentiamo protetti, senza accorgerci che stiamo lentamente allontanandoci dalla vita vera.

Riprendi il controllo della tua vita,

libero dalla dipendenza.

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