L’adolescenza da sempre rappresenta un momento di allontanamento, critica e conflittualità con gli adulti di riferimento. Per quanto possa essere faticoso o doloroso per gli adulti, è qualcosa di sano per l’adolescente. Nelle altre specie (mammiferi) viene chiamata “dispersione”: è l’inizio della ricerca di autonomia e di autodeterminazione, si “prendono le misure” di sé nel mondo, fisico, relazionale, ma soprattutto, oggi, virtuale. Per un adolescente è assolutamente normale cercare riferimenti tra i pari e da sempre l’ambiente dove gli adolescenti si sperimentano nel percorso di conoscenza di sé verso la nascita sociale è il proprio gruppo. Nel mondo dei social, il confronto e lo scambio diventano illimitati e, a volte, possono essere eccessivi.

Pensiamo, come esempio, al fenomeno del bullismo e paragoniamolo al cyberbullismo: i “bulli” nel mondo virtuale possono potenzialmente arrivare da ogni parte della rete/ mondo, gli atti di bullismo possono andare avanti senza sosta 24 ore al giorno, è difficile impedire il danno alla persona perpetrato attraverso la web-reputation.

Nel mondo dei social e del virtuale i predatori esistono, e i predatori a volte sono adolescenti loro stessi, capaci di espressioni aggressive amplificate dalle possibilità offerte dal mezzo virtuale.

O, ancora, pensiamo al sexting, cioè allo scambio di foto intime: da un lato è percepito dagli adolescenti anche come protettivo e meno ansiogeno del sesso reale, dall’altro può diventare espressione di una modalità narcisistica: la paura di non essere visto, di non stare nella mente dell’altro, che predomina sulla possibilità invece di costruire un legame con l’altro. Se l’obiettivo, inconsapevole, è quello di non perdere l’attenzione dell’altro, una conseguenza potenzialmente pericolosa può essere quella di esporre sempre più il corpo, o in modalità gradualmente eccessive per le conseguenze che tale esposizione può comportare sul web.

La comunicazione sessuale, l’avvicinamento dell’altro e la ricerca del contatto può diventare pericoloso in rete. L’apparente distanza (dei corpi fisici) non è garanzia di protezione, gli attacchi e le violenze verbali possono avere conseguenze gravissime sulla vittima prescelta.

Durante l’infanzia sono gli adulti a dover riconoscere limiti protettivi per i loro piccoli e intervenire con i no e con i divieti, per salvaguardarli (come tutti gli altri adulti di specie). Non è facile dire dei no in una cultura dove ci dicono che “tutto è possibile”, dove “non ci sono limiti”, dove forse i primi cellulari hanno avuto proprio la funzione di proteggere i nostri piccoli (il controllo). E dopo, cosa possono fare quegli stessi adulti per i propri figli adolescenti?

Ancor di più può essere difficile relazionarsi con adolescenti in un mondo dove gli stessi adulti sono inseriti in una fluidità di riferimenti culturali e di modelli sociali: se la molteplicità è indubbiamente una risorsa, può diventare un ostacolo quando, per esempio, può rendere difficile avere una strategia educativa condivisa all’interno della coppia anche in merito all’uso dei device. Diventa difficile essere credibili quando siamo noi stessi adulti a sovraesporci o a sovra-utilizzare

Gli adulti possono aiutare i propri figli facendo comprendere loro, per esempio, nella scelta delle immagini da postare, magari verificando loro stessi i propri comportamenti esibitivi

Possono ascoltarli senza mai banalizzare le loro vicende, i loro vissuti e soprattutto essere sempre consapevoli dell’importanza che il giudizio degli altri adolescenti (social) ha per i ragazzi. Non fare riferimenti alla propria esperienza “da giovani”: le esperienze vissute sono certamente un valore per ognuno di noi, ma non possiamo pensare di presentarle ai nostri figli che vivono oggi modalità relazionali completamente diverse e senza precedenti.

Aiutarli ad accettare che in tutti i legami per noi importanti esiste una quota di dipendenza reciproca…non tutto è patologico!

E allora oggi possiamo, come ben indicato anche dall’OMS, non esporre incautamente all’uso i nostri cuccioli, affinché il cervello non diventi una lastra bidimensionale e perda la tridimensionalità che solo il corpo può dare. Aiutarli precocemente a far parte di questo mondo, creato da noi, basato su una tecnologia eccezionale e utile sotto molti aspetti, ma che va dosata. Fermarci e chiederci se ci va bene così, non oscillare tra un rifiuto ottuso e una accettazione banalizzante.