Quando la terapia diventa malattia : la dipendenza da farmaci antidolorifici oppioidi

A nessuno piace soffrire, è chiaro. L’idea comune è che qualsiasi tipo di dolore cronico, fisico o mentale, sia da eliminare; eppure questo concetto, di per sé così semplice, porta conseguenze negative che non possiamo ignorare.
La lotta al dolore sta portando alla diffusione massiccia di sostanze sempre più potenti per controllare il dolore, fra cui gli analgesici oppioidi; solo che con questi farmaci diventa facile scivolare dal normale uso terapeutico all’abuso, fino anche a conseguenze estreme come la morte per overdose.

Ecco perché è importante informare del problema. Spiegare come funzionano questi medicinali, che benefici portano, ma anche quali sono i rischi e soprattutto il comportamento da tenere per non rischiare di doversi, un giorno, curarsi dagli effetti della terapia, anziché della malattia.

In questo articolo:

  • Vedremo cosa sono gli analgesici oppioidi e come arrivano a creare dipendenza.
  • Capiremo quali sono i diversi gradi di rischio legati all’utilizzo.
  • Abbracceremo una riflessione più profonda sul dolore, sulla sua funzione fisiologica, ed accenneremo a quelli che oggi sono gli approcci generalmente accettati in ambito medico proprio per la riduzione del dolore.
  • Fotograferemo la situazione attuale negli USA, in Europa e in Italia.

Gli analgesici oppioidi, se usati secondo le indicazioni di letteratura, risultano efficaci. Tuttavia un abuso al di fuori della prescrizione medica può determinare l’insorgenza di gravi effetti nocivi per la salute e portare alla dipendenza.

Il cortocircuito fra reazioni neuronali ancestrali e un ambiente evoluto.

Far cessare il dolore è una necessità istintiva e universale. Non c’è da stupirsi quindi che l’uomo abbia sempre ricercato sostanze che lo aiutassero.
In particolare, gli oppioidi sono stati utilizzati dall’uomo da millenni. Sappiamo, ad esempio, che il papavero da oppio, da cui si ricavano gli oppioidi, veniva coltivato in Mesopotamia già nel 3400 A.C. . Sappiamo anche, però, che possono indurre la dipendenza psichica, la tolleranza e la dipendenza fisica.

La neurobiologia spiega il fenomeno richiamando la disregolazione del circuito cerebrale della gratificazione.
Volendo schematizzare come funziona, normalmente, il circuito cerebrale della gratificazione, possiamo sintetizzarlo così:

  • la nostra mente associa una sensazione di benessere psicofisico ad uno stimolo o all’atto che lo ha generato
  • attribuisce quindi un valore positivo per la sopravvivenza dell’individuo e della specie a quell’atto o a quello stimolo. È una forma di apprendimento: imparo che quel qualcosa mi fa stare bene, e quindi lo considero buono.
  • entra in gioco anche la corteccia prefrontale, una parte del nostro cervello che di solito svolge un’azione di regolazione degli stimoli. Se la sua azione è inibita (ad esempio, l’abbiamo bloccata artificialmente, con farmaci, per avere una reazione più immediata), ecco che l’associazione appresa è molto più potente.

È facile capire la ragione evolutiva che ha permesso il nascere di questa struttura cerebrale. Nel contesto ancestrale in cui l’uomo si è evoluto le risorse erano scarse, la competizione fra gli individui forte. Di fronte a uno stimolo predittivo di benessere (qualcosa che prometteva di saziare la fame, ad esempio) una risposta veloce era essenziale, ne andava della sopravvivenza vera e propria dell’individuo!

Oggi le situazioni dove è in gioco la nostra sopravvivenza sono decisamente rare e la ragione dovrebbe prevalere su molte reazioni istintuali, ma il nostro cervello non lo sa. Risponde nello stesso modo anche se l’ambiente è mutato radicalmente.

In presenza di uno stimolo che genera una sensazione di benessere o in presenza dell’atto che l’ha generata, siamo tendenzialmente portati a rispondere in modo impulsivo e ripetitivo per non perdere l’opportunità. Se una sostanza psicotropa o un farmaco è in grado di produrre artificiosamente la stessa sensazione di piacere / benessere prodotta dai gratificanti naturali come cibo e sesso, si creano le condizioni per lo sviluppo di una dipendenza patologica da questa sostanza.

Chiaramente il funzionamento psichico è molto più complesso, ma l’asse azione / piacere e la trasformazione di ciò che è utile in piacevole (e viceversa) restano comunque alla base di questi meccanismi.

Opportunità e rischi legati agli antidolorifici oppioidi

Come viene vissuto, oggi, il dolore? Occorre fare una distinzione fra il dolore acuto (magari molto intenso, ma temporaneo) e il dolore cronico.

Il DOLORE ACUTO difficilmente crea dipendenza, per ovvi motivi. È anzi vissuto come utile perché segnala un pericolo, lancia un campanello di allarme. La sua terapia, poi, è per definizione temporanea.

Abbiamo invece un rapporto molto più difficile con il DOLORE CRONICO.
È vissuto come inutile, anzi dannoso. Incide sulla qualità della vita e sull’umore, annienta la dignità e spegne la volontà di combattere. Di solito compare in associazione con altre patologie; ecco che diventa importante valutare il rapporto rischi / benefici prima di iniziare una cura attraverso farmaci potenti ma a rischio come gli oppioidi, soprattutto quando parliamo di pazienti con un’aspettativa di vita lunga.

Nel caso di pazienti oncologici con limitate aspettative di vita, ad esempio, diventa un imperativo morale, per il medico, permettere loro di soffrire il meno possibile e a qualunque prezzo. L’uso degli analgesici oppioidi nella gestione del dolore associato alla malattia neoplastica avanzata è ampiamente condiviso e accettato dalla comunità scientifica internazionale e in questi pazienti il sollievo dal dolore ottenuto con gli oppioidi giustifica pienamente il rapporto rischio/beneficio della terapia con questa classe di farmaci.

L’uso degli analgesici oppioidi nel dolore cronico non oncologico invece è ancora oggi oggetto di controversie negli ambienti accademici. Il timore più grande è legato all’alta probabilità di sviluppare un disordine da uso di sostanze, come già ampiamente descritto nella letteratura medica e riportato anche nel manuale DSM5, uno dei riferimenti fondamentali in ambito medico.

Preoccupano anche le notizie dagli Stati Uniti d’America, dove si sta assistendo ad una vera e propria epidemia legata alle overdosi provocate dai farmaci oppioidi prescritti per il controllo del dolore cronico. (Ne riparleremo in seguito).

Sia chiaro però che gli analgesici a base di oppiacei non sono da demonizzare, ma anzi restano una risorsa importante per combattere il dolore. È ampiamente condiviso dagli esperti del settore che sono efficaci, sicuri ed insostituibili, se usati secondo le prescrizioni mediche e nei casi opportuni.
I rischi sono legati all’eventuale tolleranza che il paziente può sviluppare. Quando questo avviene, generalmente si innalzano le dosi e/o si accorciano gli intervalli nelle somministrazioni, senza impegnarsi nella diagnosi di una possibile dipendenza o nella ricerca della dose minima efficace.

Così si arriva alla dipendenza da anti dolorifici oppioidi. Quella psicologica tocca il 5-10% di tutti i pazienti con dolori cronici ai quali sono stati prescritti questi farmaci, mentre si valuta che la quota che effettivamente sviluppa una dipendenza fisica sia compresa tra l’1 e il 3%.

Come capire quando si rischia di scivolare nell’abuso?

In teoria, tutti i farmaci antidolorifici oppioidi possono essere pericolosi. Oltre all’uso regolare (l’assunzione del farmaco nelle dosi e modalità prescritte, e in assenza di segnali di rischio) si registrano atri tipi di utilizzo che possono sfociare anche in vere e proprie condotte illegali.
Si possono definire con questi nomi:

  • uso rischioso: quando cioè ci sono delle condizioni ambientali o personali che ne aumentano il rischio intrinseco. Ad esempio è noto che i pazienti con una storia personale o familiare anche di pregresso abuso di sostanze, incluso l’alcool, possono avere un rischio più alto di sviluppare una dipendenza da farmaci oppioidi se usati per lungo tempo;
  • modalità d’assunzione diversa da quella prescritta: ad esempio, le compresse a rilascio modificato devono esssere inghiottite intere; la frantumazione prima dell’ingestione può causare un’overdose perché la sostanza oppioide viene liberata tutta in una volta. Lo stesso può avvenire quando gli analgesici oppioidi vengono assunti insieme ad altre sostanze (come alcool o droghe illegali) capaci di deprimere i centri del respiro.
  • Misuso: si intende in questo caso un uso del farmaco al di fuori della prescrizione medica, fino a superare la dose massima indicata. Quando ci si accorge che un paziente ricorre al misuso, è necessario cercare di capire il perché – talvolta reagisce a una mancata efficacia terapeutica del farmaco scelto, e non necessariamente si tratta di un abuso per scopo ricreativo.
  • Diversione: Consiste nell’approvvigionamento illecito del farmaco tramite scambio, condivisione o cessione allo scopo di alimentare il mercato illegale. Chi si approvvigiona al mercato illegale non sta evidentemente seguendo alcuna prescrizione medica e usa la sostanza a scopo ludico. Si parla di “diversione” anche in caso di mancata conservazione in luogo sicuro di medicinali potenzialmente pericolosi.
  • Dipendenza: Disturbo da uso di sostanze caratterizzato da comportamenti mal-adattativi come la perdita del controllo, l’uso non terapeutico, l’abuso, il craving e la persistenza del comportamento nonostante l’evidenza dei danni che ne conseguono. La dipendenza oltre agli effetti gravi che ha sulla salute può causare problemi sul lavoro, a scuola o nei rapporti familiari. Il rischio più grave per una persona dipendente è ovviamente l’overdose.

Attenzione: se un farmaco antidolorifico oppioide, anche se usato secondo prescrizione medica, viene sospeso improvvisamente la persona presenterà i sintomi classici dell’astinenza: ad esempio ansia, dolori muscolari e ossei, diarrea, vomito, scarso appetito, sonno inquieto, brividi (pelle d’oca), andatura barcollante e contrazioni muscolari. La severità e la durata della sindrome di astinenza dipendono dal tipo di principio attivo, dalla quantità e dalla durata d’assunzione.

Per minimizzare questi sintomi solitamente il medico curante riduce gradualmente il dosaggio, prima di far interrompere l’assunzione del farmaco.

Quando i farmaci vengono usati per sballarsi

L’uso dei farmaci oppioidi come vera e propria droga è documentato dalla relazione al parlamento del 2017 sullo stato delle droghe in Italia. Sono circa 60.000 (pari al 2,5%) gli studenti che hanno utilizzato, almeno una volta nella vita, farmaci antidolorifici con la finalità di sballarsi: tra i maschi la quota si attesta al 2,9%, mentre tra le femmine è del 2,2%.
Tra chi ha sperimentato antidolorifici oppioidi nella vita, la maggior parte lo ha fatto 1-2 volte (38,8%), il 35,5% per 10 o più volte, in particolar modo i maschi (39,1%; F:30,9%); il restante 25,8% ne ha fatto uso tra le 3 e le 9 volte.

Le morti per overdose negli USA e in Europa

Negli USA l’abitudine di prescrivere questo tipo di analgesico è molto più diffusa rispetto all’Europa. Così negli ultimi 20 anni abbiamo assistito a una vera e propria epidemia di morti correlate agli oppioidi.
In quanti casi, però, queste morti da overdose hanno riguardato pazienti sfortunati, a cui era stato appropriatamente diagnosticato e trattato un dolore cronico? E in quanti casi, invece, stiamo parlando di persone che hanno semplicemente sfruttato la facile prescrizione e dispensazione di questi farmaci, per usarli a scopo ricreazionale?

In risposta a questa emergenza sanitaria sono state messe in atto varie strategie di controllo: lo stretto monitoraggio del fenomeno mediante sistemi di sorveglianza, interventi legislativi finalizzati a favorire un maggiore controllo sulle prescrizioni, programmi di sensibilizzazione dei medici e linee guida per la prescrizione responsabile degli oppioidi.
I dati degli ultimi anni indicano un miglioramento nel controllo del fenomeno e dunque l’efficacia, almeno parziale, delle misure adottate.

In Europa i dati mostrano una situazione meno allarmante, anche se nel 2014 ben 18 paesi europei hanno segnalato che oltre il 10 % di tutti i consumatori di oppioidi che si sono sottoposti ad un trattamento specialistico, lo ha fatto per problemi correlati principalmente a oppioidi diversi dell’eroina. In altre parole, lo ha fatto per problemi legati ai farmaci analgesici.

Nell’interpretare i dati europei bisogna aver presente che sono dati raccolti per analisi legate al monitoraggio dei fenomeni di consumo di sostanze illegali e non per un controllo effettivo delle dipendenze da oppioidi; le stime potrebbero quindi essere imprecise.
Fatto sta che nel nostro continente il 19% degli adulti è affetto da un dolore cronico di intensità classificata da “moderato” a “severo”, tale cioè da influire significativamente nelle attività quotidiane.

L’Italia si pone al terzo posto in Europa per la prevalenza del dolore cronico e si stima che circa un terzo della popolazione adulta, almeno una volta nella vita, sia dovuta ricorrere ad un trattamento farmacologico importante per curare un dolore cronico.
I casi legati all’uso problematico di antidolorifici oppioidi, però, ad oggi hanno una bassa incidenza. C’è infatti una tendenza storica della classe medica a prescrivere poco questa classe di farmaci analgesici per il controllo del dolore cronico grave non oncologico.

Negli ultimi anni si è assistito ad una lenta inversione di tendenza: di conseguenza c’è stato un miglioramento nel trattamento del dolore cronico grave, ma è necessaria anche una maggiore attenzione per prevenire i fenomeni di dipendenza.

Strategie per controllare e prevenire l’abuso

La farmaco vigilanza.
A partire dal 2012, con l’applicazione delle nuove direttive europee la definizione di reazione avversa a un farmaco (adverse drug reaction, sintetizzata in ADR) è stata estesa per includere “gli effetti avversi nocivi e non voluti conseguenti non solamente all’uso autorizzato di un medicinale a dosi normali, ma anche agli errori terapeutici e agli usi non conformi alle indicazioni contenute nell’autorizzazione all’immissione in commercio, incluso l’uso improprio e l’abuso del medicinale”.

Per garantire l’applicazione di questa normativa è stato implementato un sistema di farmacovigilanza attiva promossa dai centri regionali.
Secondo i dati aggregati della Rete Nazionale di Farmacovigilanza (RNF), dal 2001 ad oggi i farmaci appartenenti alla classe degli “oppiacei ed altri farmaci per il trattamento del dolore” maggiormente segnalati per sospetta ADR in Italia sono risultati il paracetamolo (un analgesico non oppiaceo), seguito da tramadolo (paracetamolo in associazione ad oppiacei), fentanyl, codeina, ossicodone, tapentadolo, buprenorfina e morfina.

Formulazioni abuso-deterrente

Ci sono poi forme di prevenzione degli abusi che vengono fatte già alla base, fin dallo studio e dalla creazione del farmaco. L’approccio più usato è quello di creare delle barriere fisico chimiche che impediscono la possibilità di masticare, rompere, tagliare, grattare e macinare il farmaco, oppure di scioglierlo in acqua, alcol o solventi di varia natura.
Così si impedisce che qualcuno possa ottenere l’immediata disponibilità di tutto il principio attivo presente nelle formulazioni a lento rilascio.
Queste preparazioni anti-manipolazione impediscono quindi l’utilizzo dell’oppioide attraverso vie di somministrazione diverse da quella orale (ad esempio per via endovenosa o intranasale). Molte formulazioni di questo tipo sono già presenti in commercio.

Combinazioni agonista / antagonista

In questo caso si cerca di bloccare o limitare gli effetti “piacevoli” del medicinale attraverso una particolare formulazione chimica.
Ad esempio, un antagonista oppioide quale il naloxone o il naltrexone viene aggiunto alla formulazione farmacologica per bloccare gli effetti euforizzanti degli oppioidi. Si scoraggia così l’utilizzo al solo scopo di “sballo”.

Linee guida sulla prescrizione

Nella pratica, le prescrizioni dei medici non sempre si attengono come dovrebbero alle raccomandazioni delle linee guida sull’uso dei farmaci. Gli analgesici oppioidi, pur prescritti per valide motivazioni mediche, se non sono accompagnati da un adeguato counseling sui rischi connessi tendono a essere impiegati in modo non conforme.
La predisposizione e la diffusione di linee guida corrette è dunque un serio problema. Il contrasto del dolore cronico deve essere sempre accompagnato da un’adeguata informazione del paziente e counseling sia prima che durante la terapia.

Conclusioni

Garantire il contrasto al dolore e, nel contempo, evitare i rischi di dipendenza è una grande sfida, che deve essere portata avanti giorno per giorno.
A tutti coloro che si trovano sotto terapia farmacologica con analgesici oppioidi consigliamo di mantenere uno stretto contatto con il proprio medico curante, far rivalutare la propria situazione ed eventualmente discutere con lui di strategie come la rotazione degli oppiacei e delle via di somministrazione, l’integrazione di altri farmaci non oppiacei, formulazioni abuso-deterrenti/transdermiche o una integrazione farmacologica con i farmaci indicati per il dolore cronico neuropatico.
Se vi sono storie pregresse di disturbo da uso di sostanze, compreso l’alcool, o malattia mentale attiva, l’attenzione dovrà essere ancora più alta.

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