(a cura dell’Istituto Europeo delle Dipendenza IEUD)

L’arrivo di Giorgio

Giorgio si presenta un anno fa, non spontaneamente né particolarmente motivato. È stata Simona, la sua compagna, a contattarci inizialmente per una consulenza.

Condivide la sua quotidianità con Giorgio da otto anni e insieme hanno avuto una bambina, Marta. 

Simona è preoccupata per come lui stia lentamente scivolando in un uso di alcol che ormai è diventato una dipendenza. È preoccupata anche e soprattutto per Marta, che “si è accorta che papà non sta bene” e comincia a manifestare vissuti di disagio nei confronti di questo suo papà che “sta cambiando”. Giorgio, infatti, a casa è diventato silenzioso, distratto e a volte si arrabbia per nulla. 

Il contesto familiare e la preoccupazione di Simona

Giorgio è un architetto con uno studio ben avviato e non ha mai avuto comportamenti violenti, anche se nell’ultimo periodo tende ad alzare la voce e a scattare per un nonnulla, per poi richiudersi in un silenzio rancoroso e confuso. 

Simona dice di aver scelto di lasciare il suo lavoro di impiegata quando è rimasta incinta. Un paio di anni fa avrebbe voluto provare a rimettersi in gioco, ma proprio l’aggravamento della situazione in casa le ha fatto accantonare questo suo desiderio. 

Al primo colloquio inizialmente Giorgio è distante, chiuso e risponde a monosillabi. È molto legato a Simona: “Ho paura di perderla e di perdere con lei anche Marta”, dice. 

Si sente “incapace” e “in colpa” ma anche “arrabbiato e stanco” di essere controllato e giudicato da lei.

L’Inizio della dipendenza

Il bere è sempre stato presente nella sua vita, ma fino a quattro anni fa non sembrava essere un problema. Era un’occasione di festa e convivialità: pranzi e cene di lavoro, serate con amici. “Chi non lo fa?”, pensa Giorgio. 

Poi sono cominciati i problemi sul lavoro, soprattutto nel rapporto con il suo socio, con il quale ha aperto e condivide lo studio. Senza accorgersene, il senso di leggerezza che prova dopo aver bevuto uno Spritz, una birra o un bicchiere di vino in più ha cominciato a diventare necessario: “mi svuotava la testa dai problemi”.   

Giorgio sente e riconosce l’importanza di Simona e del suo amore anche nel cercare di aiutarlo, ma c’è un terzo incomodo nel loro rapporto: l’alcol. Infatti, con l’alcol accade esattamente come quando ci si sente attratti da qualcun altro: ogni tentativo che il partner fa di tenerci lontano dal frequentare l’altro, vale a dire l’alcol, ci fa arrabbiare. Prima si cercano scappatoie, si raccontano bugie e, se non funziona, si attacca l’altro colpevole di volerci impedire di raggiungere l’oggetto del nostro desiderio. 

L’alcol e i suoi effetti

L’alcol diventa per Giorgio una sorta di antidepressivo e ansiolitico, ma parallelamente ha innescato un processo inverso, che non è immediato e che richiede tempo: è diventato terapia e malattia insieme. 

Il bere sembra aiutare a superare rabbia e depressione, ma chiede una contropartita: bere sempre di più e più frequentemente, per avere le stesse sensazioni, fino poi a dover bere e basta, perché lo chiede il corpo e perché ormai l’alcol è diventato necessario, come se fosse vitale. Un drammatico paradosso, che nei casi più gravi può portare a condizioni gravissime, con degrado e decadimento fisico e psichico. 

La nostra lettura del caso

Giorgio è all’inizio: entrato nel meccanismo della dipendenza, ma ancora in grado di auto-osservarsi criticamente, di sentire tutta l’ambivalenza tra il desiderio di bere e il desiderio di mantenere i propri affetti e la propria vita, di riconfermarsi capace e forte nel “resistere”.

Arriva quindi a noi bloccato internamente, come in un tiro alla fune tra forze pari.

Giorgio viene aiutato a comprendere e ad accettare che la sua condizione non può risolversi solo con la cosiddetta “buona volontà” (“tutti mi dicono che non mi impegno abbastanza per smettere… perché io sono così e gli altri riescono a controllarsi?”) ma che il suo disagio va affrontato da punti di vista diversi, ognuno dei quali rappresenta un punto di fragilità che porta alla sua situazione.

Nella sua storia sono presenti vari elementi di rischio: famigliarità (uno zio materno, deceduto, etilista); la sua personalità forte nell’immagine di sé, ma che, proprio per questo, fatica a tollerare frustrazioni o fallimenti; il contesto che offre in modo libero e culturalmente normalizzato il bere; infine, un episodio/detonatore: un periodo di difficoltà nella propria carriera. 

Il percorso di recupero

Questa situazione richiede un approccio attento alla tipologia e ai tempi del trattamento: in una fase iniziale, infatti, sono necessari farmaci mirati a sostenere l’organismo durante la graduale riduzione dell’assunzione di alcol. 

Uno spazio di ascolto e consulenza è attivato anche per Simona, per aiutarla nel difficile ruolo di compagna di un uomo verso il quale sta faticosamente cercando di riacquistare fiducia. 

Parallelamente viene strutturato un percorso di psicoterapia per Giorgio, con l’obiettivo di sostenere la sua motivazione e per dare un senso a quanto accaduto, cercando le risorse emotive ancora forti in lui, sostenendo le sue parti più fragili. 

A distanza di un anno la situazione sta rientrando. Giorgio si sottopone trimestralmente all’esame del capello, scelto e condiviso con Simona, perché entrambi hanno ritenuto utile avere una “cosa concreta, una prova” del percorso, che ha raggiunto negli ultimi mesi l’obiettivo di una astinenza iniziale completa. I farmaci sono ormai ridotti e il percorso di psicoterapia continua.

L’attenzione nei confronti dell’alcol dovrà essere sempre presente: per attenzione si intende la consapevolezza che, per Giorgio, l’alcol non sarà mai “ma sì, cosa vuoi che mi faccia un bicchiere?” 

La redazione

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