Capita di fare confronti su come si divertivano i giovani delle generazioni passate, e oggi. Ubriacarsi, per esempio, era un’eccezione. Lo si faceva magari una volta, per provare. Nei racconti di quelle generazioni prevale il ricordo di un divertimento puro, fatto di emozioni reali, senza doversi necessariamente inebriare con sostanze. Esistevano anche allora modi pericolosi di divertirsi, ma l’alcol non aveva il ruolo che ricopre adesso per le nuove generazioni. Con un cambiamento culturale non indifferente, una comunicazione più ampia e immediata, nuovi e più intensi scambi commerciali, l’uso dell’alcol tra i giovani è aumentato, semplicemente perché le condizioni esterne lo hanno permesso.

Oggi, gli adolescenti associano l’alcol a una necessità, più che a un piacere che ogni tanto vogliono concedersi: la soddisfazione di un bisogno senza il quale non riuscirebbero a divertirsi veramente, o a sentirsi parte di un gruppo. La dipendenza da alcol diventa quindi conseguenza di una necessità non solo individuale ma collettiva. Tutto il gruppo ha bisogno di bere per ricordare un particolare evento (paradossalmente, perché saranno poi i “non ricordi”, o i blackouts, i veri protagonisti della serata). E, nel gruppo, si avverte il bisogno di bere per uscire dalle ansie sociali che invadono la mente: “e se non so di cosa parlare?”, “se non li faccio ridere?”, “se non so ballare come ballano loro?”. Insomma, sempre più spesso, nel gruppo, si ha bisogno di sentirsi “fuori” per riuscire ad ottenere approvazione dagli amici, e per non risultare fuori luogo.

Gli adolescenti di oggi vivono inoltre l’incompetenza individuale come una colpa: da un punto di vista sociologico, il mondo appare loro come un grande terreno di conquista, con infinite possibilità a cui ognuno può e deve aspirare. Di fronte a queste opportunità senza limiti, ciascuno è responsabile per se stesso: chi non è in grado di coglierle, verrebbe visto come colpevole, e sorgerebbero in lui sentimenti di delusione e vergogna, propedeutici all’ ansia sociale, all’inadeguatezza, all’emarginazione.

Cos’è il binge drinking?

Ansie sociali, bisogno di approvazione, sentirsi fuori luogo: così nasce il cosiddetto binge drinking. Questo fenomeno, definito come il consumo di 5 o più drink a volta per l’uomo e 4 o più per la donna, sta spopolando sempre più nei paesi del Nord Europa, compresa l’Italia. Secondo alcuni studi, gli adolescenti bevono meno spesso ma in quantità più elevate rispetto agli adulti: da 4 o 5 drink alla volta per i ragazzi contro i 2, al massimo 3 degli adulti (fonte:https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pmc/articles/PMC6104966/).

Durante l’adolescenza sono molti i cambiamenti a livello fisico e psichico che portano i ragazzi ad allontanarsi dal nucleo familiare per entrare a far parte di un nuovo gruppo di sostegno, quello degli amici. Un passaggio che allontana dall’ambiente domestico ed esalta la ricerca di emozioni forti, meglio definita in psicologia come sensation seeking. “Binge drinking” vuol dire quindi “bere per ubriacarsi”, e, spesso, questo comportamento è associato a episodi di coma etilico, a incidenti e infortuni fatali, risultanti dall’intossicazione da alcol, a problemi a scuola o al lavoro, o a usi simultanei di altre sostanze, come la marijuana o la cocaina. Conseguenze che hanno un impatto negativo non solo sugli adolescenti ma anche sulle loro famiglie e la comunità.

Si può considerare quindi, il binge drinking una dipendenza?

A questa domanda è difficile rispondere perché molte volte viene confuso il fenomeno del binge drinking con quello dell’alcolismo, definito propriamente come dipendenza. I due concetti non sono strettamente correlati ma i numeri non mentono: se già da giovani vi è una base solida di comportamenti orientati all’assunzione massiva di alcolici il fenomeno potrebbe poi trasformarsi con gli anni in qualcosa di più significativo: la dipendenza da alcol.

Associata al fenomeno del binge drinking, che potrebbe sembrare un innocuo modo di “fare festa”, e non un modo per intossicarsi, vi è quindi una frivolezza di pensiero che impedisce ai ragazzi interessati ed agli adulti di riferimento di chiedersi: “c’è un problema con l’alcol?”.

Come aiutare?

Come aiutare i ragazzi che si ritrovano, a questo punto inconsapevolmente, di fronte ad una vera dipendenza da alcol?

Uno dei primi passi da compiere è “fare uso della parola”: confrontarsi, parlare, ascoltare.

È importantissima, in questo caso, la presenza degli adulti come fonte di insegnamento. I genitori, prima di chiunque altro, dovrebbero dare l’esempio e avvertire i figli dei pericoli sull’abuso di alcol accompagnandoli ad un uso consapevole di questa sostanza. Perché l’abuso di alcol iniziato in età adolescenziale ha conseguenze gravi nell’età adulta. È utile anche sottolineare che i giovani spesso non parlano dei loro problemi perché non li vedono o non li considerano tali. In una società sempre più virtuale, più “social” nel suo essere meno “fisicamente sociale”, si rischia di desiderare una vita fatta solo di abbondanza e ricchezza, di sballo e vacanza. L’euforia che i social fomentano non aiuta a sensibilizzare su questo problema.

Per questo è importante ora più che mai, per i giovani, essere trasparenti con le persone care, e decisamente più realisti con se stessi.

È importante però, se l’esempio e la corretta informazione non basta, chiedere aiuto a professionisti specificamente formati. L’Istituto Europeo delle Dipendenze ( IEuD) è una organizzazione che, nel totale rispetto della privacy e della riservatezza,  offre interventi terapeutici altamente  professionali per affrontare questi problemi.

Come rispondere a una richiesta d’aiuto?

È importante la guida dei genitori, o della figura adulta di riferimento come  un insegnante, un amico o un fratello maggiore. Spesso l’adolescente non ha la percezione della gravità  del suo problema e di conseguenza le  richieste di aiuto esplicite  sono molto basse. È compito allora dell’adulto saper cogliere le domande inespresse  e farle emergere. Anche in questo caso l’aiuto dei professionisti dello IEuD può essere determinante.  

I genitori dovrebbero cercare di avere una relazione empatica  con i propri figli invece di occuparli solo in altre attività durante la crescita. Dovrebbero prendersi il tempo per guardarli negli occhi, capire come stanno, e capire il significato di quello che stanno facendo. Il primo modo per aiutare un ragazzo messo a rischio dal binge drinking è vederlo.

Emanuele Bignamini

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