Si dice sempre che le grandi scoperte avvengano per caso… la cosiddetta Serendipity. Cosi fu per il Clordiazepossido!

Un nome tanto complicato per indicare la prima molecola della classe di Benzodiazepine (BDZ), scoperta nel 1956 per caso dal chimico Sternbach. Le benzodiazepine rientrano nella classificazione dei farmaci ansiolitici-ipnotici ed esercitano cinque effetti principali usati a scopo terapeutico: ansiolitico, ipnotico, miorilassante, anti-convulsivante ed amnesico (indebolimento della memoria). La loro azione è mediata da particolari recettori chiamati GABA A. Nel nostro cervello questi recettori vengono attivati naturalmente dall’Acido gamma amminobutirrico (GABA), che è il nostro neurotrasmettitore inibitore più rappresentato.

Ma allora a cosa servono le benzodiazepine?

In particolari condizioni di ansia acuta, agitazione, insonnia… la loro naturale attività può non essere sufficiente e allora le BDZ potenziano la loro azione garantendone una più duratura efficacia. Le componenti vincenti sono: azione rapida, bassa tossicità in acuto, facilità di utilizzo… in un attimo l’ansia va via ed il sonno sopraggiunge!

Ma c’è sempre l’altra faccia della medaglia: rapida tolleranza e dipendenza, perdita di memoria, deterioramento cognitivo, incidenti stradali, cadute… tutti possibili effetti collaterali ed è per questo che il loro utilizzo deve essere limitato nel tempo.

La tolleranza da BDZ fu segnalata già nel 1961 da Hollister, dopo pochi mesi dall’entrata in commercio del clordiazepossido, ma questa ed altre segnalazioni lungo gli anni 60 e 70 furono oscurate dalle entusiastiche applicazioni di questi farmaci, capaci di far dimenticare definitivamente i più pericolosi barbiturici.

Uno dei problemi che sicuramente ha contribuito alla diffusione della dipendenza è il tacito silenzio-assenso, sia da parte dei medici che dei pazienti, nei confronti dell’uso a lungo termine (Long Term Users, LTU). Fenomeno che coinvolge tra il 2 ed il 7.5% della popolazione dei paesi ad alto sviluppo economico.

Altro fenomeno è quello degli High dose Users (HDU), ovvero gli utilizzatori di alte dosi di sostanza, meno affrontato in campo scientifico.

Ma come si può diventare tolleranti e dipendenti da benzodiazepine?

La tolleranza è la perdita di risposta a qualsiasi sostanza, tra cui un farmaco. Si sviluppa in seguito a modificazioni del loro metabolismo (per cui sarà presente in minore concentrazione), o modificazioni dei recettori sui quali agiscono (minore risposta) e porta ad una necessità di incrementare costantemente le dosi per poter raggiungere lo stesso effetto. Per le benzodiazepine la tolleranza si manifesta prima per le proprietà ipnoinducenti, di seguito per quelle ansiolitiche (in dubbio, tra l’altro, la loro efficacia piuttosto che la dannosità a lungo temine nell’ansia).

Non sembra, invece, che si produca una tolleranza totale agli effetti che queste sostanze producono sulle funzioni mnemoniche e cognitive. Molti studi dimostrano che queste funzioni rimangono alterate in coloro che ne fanno uso cronico. Durante e dopo la sospensione vengono recuperate molto lentamente ed a volte in modo incompleto.

Come si manifesta la dipendenza da farmaci?

Le benzodiazepine sono farmaci ad alta potenzialità di sviluppare dipendenza. La dipendenza da farmaci, psicologica e fisica, può svilupparsi entro alcune settimane, o mesi, di uso cronico o ripetuto.

La dipendenza è definita dall’OMS come un forte desiderio o un senso compulsivo ad assumere una sostanza, una difficoltà nel controllarne l’uso, la presenza di uno stato fisiologico d’astinenza, la presenza di tolleranza all’uso della sostanza, il trascurare fonti alternative di piacere o interesse e il perdurare dell’uso della sostanza nonostante il danno a sé stessi e agli altri.

La dipendenza può essere sviluppata dopo il lungo utilizzo a dosaggi terapeutici, fenomeno che oscilla dal 2.2% al 17,2% di prevalenza. Ma un minor numero di pazienti, che iniziano l’assunzione di benzodiazepine su prescrizione medica, comincia, col passare del tempo, ad “aver bisogno” di dosi sempre maggiori e divenire dipendente da queste.

Che cos’è la sindrome da astinenza e quali sono i sintomi?

Il concetto della dipendenza è strettamente legato al fenomeno dell’astinenza: una sindrome da astinenza è uno dei tratti distintivi dello stato di dipendenza. L’astinenza comprende un gruppo di sintomi che si verificano alla cessazione o alla riduzione del’uso di una sostanza psicoattiva che è stata assunta ripetutamente, usualmente per un periodo prolungato, e/o in alte dosi.

Generalmente il verificarsi della sindrome d’astinenza è correlata a trattamento ad alto dosaggio e prolungato, ma la gravità della sindrome non è in relazione così stretta. I sintomi da astinenza dalle BZD possono verificarsi dopo poche settimane di uso, ma solo in circa il 15-30% dei pazienti

L’astinenza a volte diventa molto difficile, i sintomi includono: sintomi psichici, quali ansietà e insonnia, incubi terrifici, deficit della memoria e della concentrazione e sintomi depressivi. Tra i sintomi fisici ritroviamo tensione muscolare, spasmi, debolezza, formicolii e sintomi simil-influenzali. Caratteristici sono i sintomi dispercettivi con ipersensibilità alla luce, al suono e al tatto. Derealizzazione e depersonalizzazione sono comuni e talvolta possono verificarsi convulsioni o sintomi paranoidei.

Chissà se Sternbach avrebbe immaginato un così grande successo… ma anche un così grande pericolo!

La Redazione

Vuoi approfondire la tematica per te o per un’altra persona? Scrivici o chiamaci