Che cos’è l’alcolismo?

L’alcolismo è a tutti gli effetti, una malattia, inserita dall’OMS come Disturbo da Uso di Alcol nel DMS-V, il manuale diagnostico per le malattie mentali, ed è una patologia che comporta alterazioni fisiche, psichiche e comportamentale dovute al consumo continuativo o periodico di alcol. La dipendenza da alcol è una malattia cronica, che si mantiene nel tempo, con un andamento recidivante ed è caratterizzata dal desiderio incoercibile, non controllabile di bere. L’alcol è una molecola che attraversa la nostra barriera ematoencefalica e agisce sulla nostra psiche con forti effetti ansiolitici, euforizzanti (almeno all’inizio) e sedativi.

L’intenso desiderio di bere, che prende il nome di craving, è determinato da alterazioni dei circuiti neuro-recettoriali del nostro sistema nervoso centrale che vengono attivati in seguito ad un consumo cronico della bevanda alcolica. Infatti, per arrivare ad una vera e propria malattia alcolica occorrono almeno 5 anni di bevute eccessive ed è sostenuta da fattori di rischio individuali, ambientali e genetici. Le fasi di sviluppo della malattia alcolica solitamente iniziano con un uso eccessivo di alcol, caratterizzato da eccessi di bevanda alcolica, (binge drinking) e sostenuto da un desiderio impulsivo di assumere la sostanza, dove domina maggiormente il desiderio di ricreare gli effetti piacevoli dell’alcol.

Dopo un periodo caratterizzato da bevute eccessive, molto tipiche ad esempio nell’adolescenza, si accede ad una fase caratterizzata da un consumo cronico di bevanda alcolica, dove, il desiderio di bere, è sostenuto da delle precise modificazioni neuronali del nostro sistema nervoso centrale. In questa fase il comportamento dell’alcolista rispetto all’alcol non è più guidato dalla ricerca di esperienze di gratificazione, ma da una ricerca di sollievo alla sindrome astinenziale. La sindrome da privazione di alcol è infatti chiamata sindrome di astinenza ed è caratterizzata da un corteo di sintomi fisici e psichici tendenzialmente non complicata, ma in alcuni casi anche grave. La sindrome d’astinenza può presentarsi con tremori agli arti, irritabilità, insonnia, fino a situazioni più complicate come crisi epilettiche, alterazione della percezione come allucinazioni (più frequentemente visive), compromissione della respirazione e dello stato di coscienza (delirium tremens).

Gli eccessi alcolici portano a sperimentare dei veri e propri blackout alcolici in cui le persone, non solo non ricordano gli eventi della serata, ma hanno anche difficoltà a immagazzinare nuove informazioni e mantenerle in memoria. Questo fenomeno, tipico anche dell’abuso di benzodiazepine, farmaci ansiolitici, è legato all’interazione dell’alcol con il recettore GABA A e NMDA, che nel nostro cervello hanno funzione attiva sulla memoria. Tipico delle bevute eccessive è il fenomeno dell’hangover (lo strascico del dopo sbronza) caratterizzato da cefalea, nausea, dolori muscolari, intontimento. Questo fenomeno è dovuto alla presenza in circolo di due tossine dell’alcol (o meglio dal suo metabolita che è il metanolo), la formaldeide e l’acido formico, accompagnate dall’elevata disidratazione che l’alcol provoca nell’organismo.

Ma quali sono le conseguenze dell’uso cronico dell’alcol?

I danni sul corpo dovuti ad un uso cronico dell’alcol sono legati soprattutto alla metabolizzazione dell’etanolo da parte del fegato che è il primo organo a subire le conseguenze. La steatosi alcolica infatti è il primo segno di intossicazione da alcol, rilevabile clinicamente dagli esami del sangue (dosaggio delle transaminasi, delle gamma GT e dell’emocromo) e dall’ecografia epatica. Questo danno organico è ancora reversibile se la persona sospende il bere e riprende una corretta dieta. Tuttavia, se si prosegue nell’abuso alcolico, il fegato si trasforma in un fegato cirrotico in cui la struttura viene sovvertita e con essa anche la sua funzione. Il fegato è un organo nobile, non sostituibile, l’insufficienza epatica può essere mortale e l’unica terapia è il trapianto d’organo.

Poiché l’alcol viene ingerito, anche l’esofago e lo stomaco vengono interessati da un fenomeno infiammatorio come l’esofagite che, se non si pone rimedio, può evolvere in ulcere gastriche, pancreatiti e tumori dell’apparato digerente. Inoltre, molte patologie neoplastiche sono strettamente legati all’azione tossica dei metaboliti dell’alcol che sono cancerogeni.

A lungo termine, questa sostanza ha effetti estremamente dannosi anche sul nostro sistema nervoso centrale determinando un invecchiamento (atrofia) e morte precoce dei nostri neuroni (le nostre cellule del cervello) che sottendono a tutte le funzioni come la memoria, la regolazione delle emozioni, degli impulsi. Sono frequenti i casi di demenza, sindrome di korsakoff, epilessia, depressione, aggressività. L’alcol attacca anche il sistema nervoso periferico con neuropatie tossiche e carenziali degli arti inferiori.

Quanto è diffuso il problema dell’alcolismo?

Secondo i dati Istat aggiornati al 2016, il consumo giornaliero di alcol nella popolazione generale italiana sta seguendo un trend in diminuzione (dal 29% nel 2006 al 22% nel 2015). Rimane elevato il consumo di alcolici fuori pasto (dal 26,1% al 29,2%) e le forti bevute in situazioni di convivialità.

La popolazione giovane (18-24 anni) è quella più a rischio per il binge drinking, frequente soprattutto durante momenti di socializzazione, come dichiara il 17,0% dei ragazzi (21,8% dei maschi e 11,7% delle femmine).

La percentuale dei consumatori fuori pasto di sesso maschile è superiore a quella di sesso femminile per tutte le età mentre sotto i 17 anni non vi è differenza statistica di genere.

Come si diventa alcolisti?

Lo sviluppo della malattia alcolica è sostenuto da precisi fattori personologici individuali, dall’ambiente, inteso come contesto in cui una persona vive le proprie esperienze e da assetti genetici che rendono la persona più vulnerabile allo stress.

Frequentemente le persone che ricorrono all’alcol soffrono di depressione, di ansia o di disturbo bipolare e cercano nell’alcol un sollievo per la tristezza, per i pensieri negativi, per placare l’irrequietudine, per affrontare una performance sociale o lavorativa. Gli alcolisti spesso crescono in famiglie problematiche in cui prevalgono aspetti di negligenza genitoriale. Frequentemente i genitori sono anche loro alcolisti o affetti da malattia psichiatrica, esiste infatti una predisposizione genetica a sviluppare la dipendenza da alcol.

Spesso la persona che diventa dipendente, vive in una famiglia in cui la propria emotività non viene riconosciuta e accolta. Sono persone che nell’ambito domestico non hanno potuto sviluppare una buona stima di sé, si sentono poco efficaci nei confronti delle relazioni, dell’ambito lavorativo e reggono con fatica situazioni stressanti. Troviamo spesso figure materne che fanno fatica a riconoscere un’autonomia emotiva del figlio e figure paterne tendenzialmente assenti o a margine.

Gli alcolisti frequentemente si accompagnano a partner affettivi con i quali instaurano un rapporto di co-dipendenza. Il partner assume diversi ruoli, da vittima cioè come colui/colei che subisce, a controllore, in una dinamica relazionale in cui si possono alternare valenze materne benevole, ma anche giudicanti, controllanti e rifiutanti. Tali risposte comportamentali dei partner potrebbero essere anche dovute a processi di adattamento rispetto allo sviluppo della dipendenza del marito o della moglie.

Ma chi è quindi l’alcolista?

Le caratteristiche multidimensionali di un alcolista (tratti personologici, contesti ambientali, contesti familiari) sono state ampiamente studiate e descritte e sono particolarmente utili ai clinici per definire la terapia farmacologica più efficace, infatti alcune tipologie di alcolisti rispondono meglio ad alcuni tipi di farmaci rispetto ad altri.

La scala multidimensionale più utilizzata è quella di Cloninger, ma ne esistono altre, Babor, Johnson, Lesch. Cloninger, individua due tipologie di alcolisti: la prima caratterizzata da un esordio tardivo della malattia (dopo i 25 anni), da una personalità di stampo nevrotico, ansioso depressiva, con problematiche risalenti all’infanzia, spesso all’interno della famiglia d’origine. In questo caso il desiderio di bere sembra essere legato più alla ricerca di sollievo a sintomi ansioso depressivi (craving relief) e allo stress.

La seconda tipologia descritta riguarda quasi esclusivamente il sesso maschile, con inizio precoce, con una vulnerabilità genetica e un contesto familiare problematico, con un profilo comportamentale caratterizzato dalla ricerca di novità e situazioni a rischio (novelty seeking, sensation risk) in cui il bere si colloca come la ricerca di sensazioni e di piacere, di rinforzo positivo (craving reward), sono anche quelle persone estremamente impulsive che perdono il controllo (binge drinking) e non sono consapevoli del rischio. Appartengono a questa tipologia i disturbi della personalità come il Disturbo Borderline e il Disturbo Antisociale, si parla infatti di comorbilità psichiatrica. Nella pratica clinica, la tipologia più osservata è la prima di Cloninger e in generale ha una prognosi buona.

La classificazione secondo Coloninger, seppur molto utilizzata, non comprende completamente la complessità psicologica della persona dipendente da alcol. Lo stile alcolico della persona alcolista può essere rivisitato anche attraverso un’attenta analisi del tipo di craving (De Rosa e coll, 2005).

In uno stile depressivo ad esempio, il desiderio di bere viene anticipato (pre-craving) da una percezione di sé poco efficace, con sensi di colpa, scarsa autostima, rabbia e frustrazione e il bere si colloca come sollievo. Si tratta spesso di un bere episodico, accompagnato da un vissuto di rassegnazione. La fase successiva dopo la bevuta (post-craving), dominata dalla colpa e dalla vergogna.

Nello stile onnipotente, il pre-craving è costituito da una insoddisfazione delle proprie aspettative e dalla tendenza a proiettare verso l’esterno la causa del proprio fallimento. L’alcol permette a questa persona di sentirsi nuovamente potente, il craving è intenso, impellente. L’accesso all’alcol può essere episodico, con anche lunghi periodi di astinenza.

Nello stile alcolico del narcisista, in cui la frustrazione e il fallimento sono più spiccati, il craving è improvviso, intenso, accompagnato da stati depressivi significativi, l’alcol viene assunto con la precisa idea di anestetizzarsi. Il bere è accompagnato da agiti impulsivi, distruttivi e aggressivi verso sé stessi. Lo stile borderline, citato sopra, è caratterizzato da una percezione di vuoto, smarrimento, incostanza del sé e dei suoi limiti. In questo stile predomina la rabbia e l’impulsività e il craving è guidato dal desiderio di ripristinare il tono dell’umore, anestetizzare l’angoscia di frammentazione del sé tipica di questa tipologia.

Nello stile alcolico alexitimico, la persona mostra un’affettività coartata, il malessere rimane non descrivibile in termini emotivi ma vissuto progressivamente sul corpo e si accende il craving. Il bere riporta all’omeostasi la sensazione di fastidio percepita. Spesso queste persone manifestano attacchi di panico e mostrano delle difficoltà nelle relazioni. De Rosa descrive anche lo stile alcolico psicopatico e psicotico, meno frequenti, tuttavia occorre ricordare che patologie psichiatriche come la schizofrenia e il Disturbo Bipolare sono condizioni cliniche favorenti lo sviluppo di una dipendenza da alcol, spesso come forma di automedicazione.

Quali sono i sintomi per cui posso parlare di dipendenza da alcol?

Secondo il DSM V si può parlare di Disturbo da Uso di Alcol quando sono presenti almeno due dei seguenti sintomi per un periodo di almeno 12 mesi:

  • assunzione di alcol in quantità superiori o per periodi più lunghi rispetto alle intenzioni del soggetto.
  • desiderio costante di assumere alcolici o fallimenti nel tentativo di ridurre l’assunzione di alcol.
  • gran parte del tempo della giornata è impiegato nel bere, nel recuperare alcolici o nel gestire i sintomi da intossicazione (effetti post-sbornia).
  • il soggetto sente un impellente e incontrollabile bisogno di bere (craving).
  • l’uso di alcol comporta fallimenti nell’adempimento delle proprie responsabilità a casa, al lavoro o a scuola.
  • mantiene l’uso di alcol nonostante questo sia causa di ricorrenti problemi sociali.
  • importanti attività vengono abbandonate per lasciare spazio all’uso di alcolici.
  • l’alcol è utilizzato in situazioni in cui è fisicamente pericoloso farlo.
  • utilizzo continuativo di alcol anche dopo la comparsa di problemi psicologici o sociali attribuibili all’abuso alcolico.
  • sviluppo della tolleranza verso l’alcol manifestata con aumento significativo della quantità di alcol necessaria a soddisfare il bisogno alcolico.
  • presenza di sintomi astinenziali o comportamenti atti a non provare sintomi astinenziali.

In dettaglio cosa succede:

  • si perde il controllo sul bere, non si è più capaci fermarsi quando si inizia a bere.
  • permane un desiderio intenso, incoercibile e incontrollabile di bere quando ci si sente a disagio, in ansia, tristi ma anche quando si passa accanto ad un bar, si sente qualcuno parlare di alcol o semplicemente quando qualcosa (di inconscio) richiama la solita abitudine di bere.
  • si prova un senso di vergogna, colpa, tristezza profonda e disgusto per sé stessi, specialmente dopo una sbornia, ma dopo poco ci si ritrova ancora a bere.
  • si ha bisogno di bere per fare qualsiasi cosa, altrimenti si fa fatica a lavorare, uscire di casa, ad affrontare ogni cosa della vita.
  • i rapporti con il partner, la famiglia e il lavoro vengono compromessi perché spesso si è alterati, confusi, aggressivi. Le persone care non si fidano più. Si usano scuse per giustificare il bere: “ho avuto una giornata difficile e mi merito l’aperitivo per rilassarmi un po’” oppure “controllo bene l’alcol e bevo solo in compagnia” e ancora “se tu non mi stressi io non divento nervoso e non devo bere per tranquillizzarmi”.

Cosa cambia nel cervello di chi ha sviluppato una dipendenza da alcol?

Ma vediamo in dettaglio quali sono le basi neurobiologiche che sostengono l’alcolismo. Abbiamo detto prima che ciò che caratterizza la malattia alcolica, e ogni tipo di dipendenza, è il desiderio incontrollabile di assumere la sostanza, craving. Le aree del nostro cervello interessate nel craving sono l’amigdala, sede neuronale delle memorie associative, la corteccia prefrontale che ha un ruolo di regolare gli impulsi che arrivano dal nostro cervello più primitivo, più impulsivo, l’ipotalamo e l’ippocampo.

Queste aree primitive del cervello sono sede del piacere, della gratificazione e della nostra sfera emotiva ed affettiva. Per comunicare tra loro queste aree utilizzano dei neurotrasmettitori, molecole che quando liberate in specifici spazi sinaptici tra i neuroni, inducono dei cambiamenti significativi nel nostro cervello, sono il modo attraverso cui il nostro cervello comunica. In particolare, neurotrasmettitori come la dopamina, la serotonina, gli oppioidi endogeni, quando attivati ci portano a sperimentare emozioni piacevoli, gratificazione, soddisfazione sessuale, modificazione dell’appetito e del sonno.

L’alcol, ma anche la cocaina ad esempio, attiva questi neurotrasmettitori in quelle sedi del cervello che abbiamo citato e generano una sensazione di gratificazione e rinforzo che si imprime nella nostra memoria fino a diventare un automatismo. Questa modificazione neuronale altera il nostro sistema di regolazione dello stress, ma anche le nostre emozioni (la tristezza, la gioia, la rabbia, la paura, il dolore), la nostra memoria, la nostra capacità di prendere le decisioni e di affrontare la quotidianità (problem solving).

Quindi ogni stress fisico ed emotivo stimola quelle aree del nostro cervello che, se biologicamente integre, ci aiutano e ci sostengono emotivamente e cognitivamente, se sono alterate, come nell’alcolismo, stimolano subito il desiderio di assumere la sostanza come se fosse l’unica risposta possibile, una risposta che il nostro cervello ha immagazzinato e memorizzato. Questo meccanismo spiega le frequenti ricadute a cui una persona dipendente da alcol deve saper fronteggiare.

Come si cura l’alcolismo?

L’alcolismo, come abbiamo detto, è una malattia e richiede un luogo e un’equipe di specialisti (medici, psichiatri, psicologi, infermieri, educatori) che accolgono la persona, la sostengano verso il cambiamento psicologico e che si occupino anche dei danni che l’alcol ha determinato sul piano organico. E’ importante ripercorrere la propria storia personale, stabilire una corretta diagnosi psichiatrica (per escludere o avvallare la presenza di sindromi ansioso depressive, disturbo bipolare, disturbi di personalità) e una corretta diagnosi del funzionamento sul piano psicologico.

Questo bagaglio di conoscenze permette ai clinici e alla persona di stabilire insieme un piano di trattamento costruito interamente su di sé. Risulta importante per una buona pratica clinica, nell’affrontare il problema di alcol, definire correttamente lo stile personologico della persona e la sua modalità di accedere al bere, perché si è visto in letteratura che l’efficacia del trattamento è strettamente focalizzato su questo. In un clima non giudicante e di fiducia, si cercherà di aiutare la persona a riconoscere e nominare le proprie emozioni, a diventare consapevole delle proprie criticità e si aiuterà a sviluppare pattern di comportamento più funzionale.

Come detto precedentemente, il contesto ambientale, familiare e affettivo della persona con dipendenza, è un contesto che spesso mantiene il comportamento dipendente, per tale motivo è utile coinvolgere nel trattamento anche i familiari. Tali pattern relazionali sono rilevanti, in termini di prevenzione delle violenze domestiche che frequentemente si riscontrano nelle famiglie in cui si rileva un problema di dipendenza da alcol.

Le terapie farmacologiche utilizzate nell’alcolismo si concentrano sulla cura del disagio psichico sottostante all’uso dell’alcol. Più esplicitamente, se una persona utilizza l’alcol per lenire gli stati d’ansia, apatia e tristezza, sarà utile intervenire con una terapia antidepressiva specifica. Gli ultimi studi di farmaco-tossicologia, inoltre, sono impegnati soprattutto sul fronte del controllo del craving per sostenere la persona a percepire con meno intensità la voglia di bere.

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