La dipendenza da lavoro, conosciuta anche come workaholism, può diventare una forma di ossessione vissuta in modo così intenso da compromettere relazioni, affetti, benessere personale e salute fisica e mentale. Negli ultimi anni, l’attenzione verso questo fenomeno è cresciuta, in particolare per quanto riguarda lo stress da lavoro e le sue ripercussioni a lungo termine.

Cos’è la dipendenza da lavoro?

Il workaholism è stato descritto per la prima volta negli anni ’70 e presenta le caratteristiche tipiche delle dipendenze comportamentali. Questo tipo di dipendenza condivide elementi con altre forme di dipendenza, ma viene spesso vissuta con meno conflittualità interiore, poiché il lavoro, a differenza di altre sostanze o comportamenti stigmatizzati, è socialmente accettato e in molti casi persino incentivato.

I sintomi della dipendenza da lavoro

Chi soffre di dipendenza da lavoro manifesta una serie di sintomi che includono:

  • Ansia
  • Insonnia
  • Pensieri ruminanti ed ossessivi legati al lavoro
  • Senso costante di urgenza
  • Tensioni muscolari
  • Cefalee
  • Irritabilità
  • Aggressività verbale oppure astenia
  • Sintomi depressivi e ritiro sociale
  • Abuso di alcol o sostanze

Lo stress da lavoro come fattore scatenante

Il workaholism può essere visto come una risposta esagerata a stimoli stressanti sul lavoro (stressor).

Gli stimoli che viviamo come ansiogeni possono essere di qualunque tipo, sia di tipo concreto (qualcosa che vediamo, ascoltiamo ecc.), sia qualcosa che scaturisce dal nostro mondo interno: persone con personalità più fragili (per esempio: bisognose di continue conferme del sé, o che presentano tratti ossessivi) possono reiterare fantasie che alimentano lo stress stesso

Questo perché lo stress è sì sintomo di un disagio, ma è anche, come abbiamo appena detto, difesa da un’emozione spiacevole e profonda radicata nella nostra personalità e nella nostra storia (come, nell’esempio precedente, il timore che l’altro non ci confermi o l’impossibilità di tenere tutto “sotto controllo e in ordine” quando gli impegni aumentano eccessivamente)

Esiste un processo di autoalimentazione circolare dello stress, che in parte spiega come non sia affrontabile solo con un confronto con la realtà esterna

La stessa circolarità è presente nelle dipendenze da sostanze (quello che mi fa stare bene mi fa stare male): così se io mi impegno molto nel lavoro porrò fine a questo disagio, ma poiché il disagio si ripresenta perché è parte del mio mondo interno, provo ansia e stress perché si riattivano nodi emotivi irrisolti.

Quali sono i fattori di rischio per la dipendenza da lavoro?

I cambiamenti nel mondo del lavoro degli ultimi anni, soprattutto in termini di utilizzo dell’home-working o le richieste (più o meno velate) di presenza e disponibilità continua (uno degli effetti dell’ essere “sempre connessi”), vengono considerati un fattore di rischio per lo sviluppo di questo disturbo. La dipendenza da lavoro è spesso compresente o potenziata dalla dipendenza da web e social.

L’attività lavorativa oggi entra nella nostra sfera vitale, nella nostra esistenza, in casa: così in alcune situazioni è più difficile trovare uno stacco netto casa-lavoro, che ha da sempre rappresentato una risorsa per il mantenimento di confini simbolici e affettivi (il piacere di rientrare a casa dopo una giornata di lavoro o, all’opposto, di uscire da casa per andare in un luogo di lavoro piacevole!).

Naturalmente ciò che può essere vissuto come disturbo da qualcuno è vissuto come risorsa da altri e dunque quello che ci viene descritto è una condizione soggettiva di disagio che riguarda alcuni, mentre per la maggioranza delle persone poter lavorare da casa, non doversi spostare è utile e sintonico anche alle nuove condizioni di vita.

Come riconoscere e trattare il workaholism

Le persone che vivono un problema di workaholism spesso si presentano a noi avendo già tentato forme di auto-terapia, soprattutto farmacologica (antidepressivi, ipnoinducenti) o attraverso un uso di alcol e/o cocaina gradatamente andati ad aumentare.

È importante riconoscere il problema in tempo e affidarsi ad un’equipe che possa impostare un trattamento personalizzato, possibile solo attraverso il riconoscimento dell’unicità della persona e della sua storia.

Cristina Galassi

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