L’ISTITUTO MILANESE FORNISCE UN COMPLESSO DI SERVIZI E UN’ÉQUIPE MULTIDISCIPLINARE DI PROFESSIONISTI ACCOMPAGNANDO LE PERSONE IN TUTTO IL PERCORSO DI CURA


Focus SALUTE

Trovare risposta per le dipendenze, la differenza la fa chi ti guida

Secondo gli ultimi dati pubblicati dall’Istituto Superiore di Sanità, in Italia sono oltre 5 milioni le persone che hanno un consumo eccessivo di alcol, tra cui circa 800.000 hanno un danno d’organo e sono pertanto bisognosi di una cura specifica. Numeri altissimi che in molti casi rischiano di sfuggire alla copertura del Sistema Sanitario Nazionale. «Quella da alcol è la dipendenza per cui esistono ad oggi più dati, perché la sostanza coinvolta è legale, ma sono altrettanto preoccupanti anche dipendenze di diver- so genere, come quella da cocaina o quelle che non coinvolgono sostanze, come le dipendenze comportamentali». A parlare è il dottor Federico Seghi Recli, socio fondatore di IEuD (Istituto Europeo delle Di- pendenze), la struttura del Milanese che da anni è specializzata nel trattamento di diversi tipi di dipendenze grazie a un’équipe multidisciplinare di eccellenza guidata dal Professor Emanuele Bignamini e la Dott.ssa Cristina Galassi.

IL POSTO GIUSTO

Quando si tratta di dipendenze, persiste certamente un problema di stigma ma la questione principale, avvisa Seghi Recli, ha a che fare con il tipo di risposta offerta ai pazienti: «Il nostro sistema sanitario è tra i più efficienti per quanto riguarda la copertura del- la dipendenza da oppiacei, ma nella nostra esperienza sono tante le persone con dipendenze differenti che non si riconoscono nelle strutture pubbliche dedicate: a nostro giudizio sono ancora pochi i luoghi che forniscono una risposta adeguata a questo tipo di utenza». Nel centro IEuD confluiscono dunque pazienti con un’età media tra I 35 e I 40 anni, perlopiù con dipendenza da alcol e cocaina, ma anche comportamentali e affettive, che fra l’altro, spesso, si legano fra di loro. «C’è poi la questione delle benzodiazepine, di cui in Italia c’è un uso abnorme: parliamo – precisa – di quasi 10 milioni di persone, di cui circa il 70% ne fa un uso cronico».

UN APPROCCIO COMPLESSIVO

Per affrontare un fenomeno così complesso e che coinvolge tutte le dimensioni della persona, è necessario che il paziente venga preso in cura con un approccio complessivo, olistico, che non si limiti a un singolo intervento isola- to: «Al contrario – spiega il dottor Seghi Recli – spesso il percorso può essere lungo e la persona può aver bisogno di diversi servizi a seconda del momento, ad esempio di un periodo di ricovero a cui segue uno in cui può essere sufficiente la psicoterapia, così come momenti in cui prevale la parte farmacologica». Una continuità di trattamento difficile da trovare, con il paziente che spesso si ritrova da solo ad affrontare eventuali ricadute e nuove difficoltà.

ESEMPI CONCRETI

«Un esempio concreto – dice il dottor – è quello della stimolazione magnetica transcranica (TMS), un trattamento sempre più diffuso e che consiste in una macchina che dà impulsi al cervello che può risultare particolarmente utile della gestione del “craving”. È uno strumento che in un complesso di cura può essere molto efficace, noi stessi lo utilizziamo. Se invece il trattamento con tms resta un intervento isolato, il paziente ne trae beneficio per un tempo limitato, ma nel medio termine il rischio di ricadute è elevato. O ancora – prosegue – tornando alle benzodiazepine: abbiamo, sì, un protocollo di disintossicazione rapida estremamente innovativo presso una casa di cura con cui collaboriamo, ma chiaramente questo intervento deve essere inserito in un progetto di cura più complessivo che gli consenta il consolidamento dei risultati. Insomma, l’idea è accompagnare il paziente lungo tutto il suo percorso di cura».

Un’Academy per individuare precocemente i segnali

Per affrontare efficacemente il problema delle di- pendenze è necessario il coinvolgimento di molte figure professionali. Tuttavia, non sempre i professionisti sanitari dispongono delle competenze adeguate e delle risorse necessarie a gestire una questione così delicata. Ed è stata proprio una domanda di formazione da parte del mondo sanitario e non so- lo quella che ha stimolato l’Istituto Europeo delle Dipendenze (IEuD) ad avviare l’Academy, un progetto formativo destinato a rispondere alla crescente necessità di formazione in ambito dipendenze da parte di medici, operatori della salute, professionisti e istituzioni, tra cui in prima linea le scuole. L’Academy di IEuD offre infatti corsi mirati che combina- no un approccio teorico-specialistico sulle dipendenze con una visione più ampia e olistica del fenomeno. Que- sto permette di affrontare il tema non solo dal punto di vista clinico, ma an- che attraverso prospettive complementari, fornendo strumenti concreti per la prevenzione, la diagnosi e il trattamento.

LA MEDICINA GENERALE

“La domanda formativa arriva anche dai medici di medicina generale che possono e vogliono ricoprire un ruolo centrale nell’individuazione precoce del problema e nell’indirizzare il paziente nella struttura più adeguata ai suoi bisogni. Il nostro progetto di Academy rappresenta un contributo in questa direzione” precisa il dottor Federico Seghi Recli, socio fondatore di IEuD

Il ruolo della famiglia durante la terapia

Nei percorsi di cura dell’Istituto Europeo delle Dipendenze (IEuD) possono essere coinvolti anche i familiari dei pazienti in cura: «Accade quasi nel 50% dei casi – spiega il dottor Federico Seghi Recli – Si tratta di familiari quali genitori, compagni e amici che l’equipe di cura ritiene utile coinvolgere nel percorso di cura con il consenso dei pazienti». I familiari, infatti, possono avere un ruolo positivo stimolando la persona a iniziare e proseguire la cura e in questo caso vengono quindi coinvolti nel percorso: «È importante – sottolinea Seghi Recli – anche informare la rete familiare delle difficoltà che si possono incontrare, prime tra tutte le ricadute, in modo che non vengano vissute come fallimenti », aggiunge. Se invece il familiare condivide il problema di dipendenze, in quel caso si può anche valutare di coinvolgerlo nel percorso di cura, estendendo l’intervento.

Fonte: la Repubblica