Dall’alcol alle droghe, dal sesso all’abuso di farmaci, fino all’affettività dipendente. La quarantena ha portato allo sviluppo (e al peggioramento) di comportamenti compulsivi, sui quali molti professionisti del settore sono intervenuti con terapie a distanza. Ce ne parla il direttore dell’Istituto Europeo per le Dipendenze



La quarantena è stata per la maggior parte delle persone una festa dello spirito – nel senso dell’alcol. Costrette a casa e annoiate, le persone hanno annegato nel gin, nella coca, nel porno la rottura dei cojoni del lockdown. Vedrete, alla fine della pandemia, molti ne verranno fuori con una dipendenza...“. Con la pungente ironia che lo contraddistingue, Roberto D’Agostino descrive così «gli eccessi» della quarantena sul nuovo numero di Vanity Fair diretto dal regista Paolo Sorrentino. “Pornhub ha visto schizzare i dati sul traffico di quasi il 12%”, prosegue lo scrittore. “Le vendite di sex toy sono aumentate del 27%. La cocaina ha sostituito lo zucchero, la vitamina D e l’ovetto sbattuto. Per non parlare di cannabis e alcol. Secondo una ricerca Nielsen, le vendite di alcolici online negli Stati Uniti sono aumentate del 243%. E chi non sceglie marijuana e vodka, si tuffa nel frigorifero…“.

Un quadretto tristemente reale e riscontrabile anche nel nostro Paese, dove il tema delle dipendenze – nate o peggiorate durante la quarantena – non ha fatto grande rumore, ma è stato ampiamente affrontato dai professionisti del settore, che mai come in questo periodo si sono ritrovati impegnati a fronteggiare con sedute di terapia online le numerose richieste di aiuto arrivate durante e dopo il lockdown. «La solitudine ha indotto o accentuato certe dipendenze», spiega lo psicoterapeuta Raffaele Lovaste, Direttore dell’Istituto Europeo per le Dipendenze. «Questa condizione di isolamento ha alzato il livello di stress e le persone hanno “risolto il problema” aumentando i loro comportamenti compulsivi, come anche il consumo di alcol e droghe. Nella fantasia si è convinti di poter controllare quest’uso, ma nella realtà è un’illusione».

Durante i mesi di quarantena, l’Istituto Europeo per le Dipendenze – uno dei primi centri pensati e strutturati anche per garantire assistenza online – ha offerto sostegno in tutt’Italia, ricevendo moltissime chiamate da chi cercava aiuto per uscire da svariate situazioni di dipendenza e ritrovare un equilibrio. La specificità del suo team di professionisti è proprio quella di trattare i casi di dipendenza attraverso l’uso di PC e smartphone.

«Quando si inizia un trattamento, l’obiettivo è cercare di aiutare la persona a riprendere il controllo della propria vita. Le droghe, in particolare, generano ansia, preoccupazione e rimozione, ed è questo il sentimento che prevale», precisa Lovaste, specialista con vent’anni di esperienza nella gestione dei Sert. «Fino a quando la cosa diventa eclatante al punto da far scattare il meccanismo di difesa. Con i pazienti ci si arriva dopo un po’: il nostro intento è accompagnarli a riflettere sulla possibilità di compiere scelte nuove che portino a escludere dalla loro vita queste sostanze. Non è mai un percorso semplice, per risolvere una dipendenza occorre ridurre il livello di stress, ma occorre anche cambiare un modo di vedere la vita e modificare delle scelte che sembrano normali».

La dipendenza non è collegata alla ricerca di un piacere, ma di una “gratificazione”. Un meccanismo psicologico che diventa particolarmente subdolo nei casi patologici anche per via della sua estrema caducità. «Chi ha sviluppato una dipendenza dal gioco d’azzardo, per esempio, ha un interesse legato esclusivamente all’eccitazione che prova nel momento in cui schiaccia il pulsante. Tutto il resto ha un’influenza secondaria», spiega il Direttore dello IEuD. «Lo stesso succede per la dipendenza da pornografia: l’interesse è per quell’attimo di eccitazione che suscita una novità, non tanto nell’effettivo desiderio di guardare questi filmati».

In fase di lockdown, si è potuto stilare anche una sorta di “identikit” dei soggetti che sviluppano dipendenza. «Gli uomini rappresentano una percentuale maggiore nei casi di dipendenza da alcol e droghe come la cocaina, diffusa soprattutto nella fascia d’età tra i 30 e i 50, mentre cannabinoidi, extacy e metanfetamine riguardano la fascia più giovane/adolescenziale», sottolinea lo specialista. «Le donne, invece, sviluppano una particolare forma di dipendenza affettivauna patologia pericolosa, che spesso si cela dietro a molti casi estremi di violenza. È bene ricordare che prima di un femminicidio c’è sempre una violenza fisica, psicologica e sugli affetti che sarebbe opportuno affrontare. Le donne che si rendono conto di avere a che fare con una persona difficile, ma che soffrono di dipendenza affettiva, sono “bloccate” all’interno di questo meccanismo mentale dalla paura di restare sole».

In tutti questi casi, il percorso d’uscita che viene proposto dall’Istituto Europeo per le Dipendenze ha dei punti di forza unici in Italia:

1. Un pool di esperti nel trattamento delle dipendenze che garantiscono multispecializzazione e coordinamento per offrire un supporto concreto a chi ha bisogno. 2.Un servizio articolato online che solleva dalla difficoltà di scegliere uno psicologo o una clinica (scelte che spesso ritardano la volontà di intraprendere un percorso di assistenza). 3. Una logistica semplificata (il paziente non deve recarsi in alcun luogo) che consente di abbattere la prima barriera di resistenza tra chi desidera sottoporsi a un trattamento e il timore, la vergogna, la timidezza o, semplicemente, la distanza fisica che glielo impediscono. 4.Il rispetto totale della Privacy, garantita da un alto livello di riservatezza con cui vengono trattati i casi e gestiti gli appuntamenti, che i pazienti possono scegliere di frequentare in anonimato.

«Anche quando si viene per un consulto di presenza, nella nostra sede di Milano, non esiste sala d’aspetto: chi arriva entra subito nello studio del professionista con cui ha l’appuntamento», precisa il direttore. «Per la gestione on line degli appuntamenti, invece, utilizziamo un sistema estremamente sicuro e riservato, attraverso il quale è lo specialista a inviare un link per la connessione e di cui poi non resterà traccia. Sappiamo infatti che per alcune persone è più semplice esprimere parti di sé e delle proprie problematiche grazie alla mediazione del PC o dello smartphone, come se questi strumenti permettessero la costruzione di un contesto ancora più protetto e sicuro dello studio del terapeuta».

Gli interventi online di IEuD non sono tuttavia una semplice trasposizione dell’intervento in studio. La dimensione online ha delle precise caratteristiche: non si perde mai di vista il significato relazionale dell’esperienza ed è su questo significato che il professionista della salute mentale costruisce il suo intervento di ascolto della persona che gli sta chiedendo aiuto.

Fonte: Vanity Fair