Il campo delle dipendenze è caratterizzato dalla complessità e richiede pazienza e umiltà intellettuale per lasciarsi avvicinare. Comprendere la dipendenza e ancora di più una persona con problemi di dipendenza rende necessario distaccarsi dalla propria logica per aprirsi ad altre visioni e ad altri modi di sentire.
Ogni volta che si assume un singolo punto di vista (medico, psicologico, morale, sociologico, educativo) la realtà della dipendenza mette di fronte a quanto siano importanti gli altri punti di vista: si rimane disorientati, con la sensazione di non capire il perché della dipendenza. Ma siccome abbiamo bisogno di certezze, ci si accontenta di una visione parziale: nascono così le ideologie, le scorciatoie che riducono ciò che è complesso a semplice e che oscurano la possibilità di conoscere meglio la realtà. Sulla dipendenza sono molto forti dei punti di vista rassicuranti quanto insufficienti.
Il problema pratico è che un atteggiamento riduttivo produce cattive terapie: semplificare permette di illudersi di avere controllo sulla realtà, ma di fatto compromette la possibilità di gestirla in modo efficace e di ottenere validi risultati nella cura.
Maneggiare la complessità pone difficoltà che si riflettono nel linguaggio usato per parlare della dipendenza. Sono molti i termini utilizzati e spesso hanno significati variabili a seconda di chi li usa. Vediamo di approfondire il significato di alcune parole chiave, cercando così di ragionare un po’ anche sul senso della dipendenza.
In questo testo vengono analizzati alcuni termini di base, altri verranno ripresi in schede successive.
ADDICTION, TOSSICODIPENDENZA, DIPENDENZA PATOLOGICA, DISTURBO DA USO DI SOSTANZE
Il primo segnale che ci troviamo davvero in un mondo complesso è la molteplicità dei termini utilizzati per indicare il problema. Ogni termine ha una sua logica e un suo ambito di riferimento, ma spesso vengono utilizzati in modo interscambiabile. Vediamoli uno per uno.
ADDICTION è il termine principale utilizzato in lingua inglese per indicare…la dipendenza (ce ne sono altri, come dependence, drug abuse, substance use disorders: come si vede, anche i pragmatici anglosassoni si arrovellano attorno alla questione).
Perché Addiction è importante in italiano? Perchè quando è stata tradotta l’ultima versione del manuale di diagnosi psichiatriche più importante al mondo (il DSM, l’americano Manuale Diagnostico e Statistico della Associazione Psichiatrica Americana, versione 5, del 2013) i traduttori italiani si sono trovati di fronte alla difficoltà di rendere questo termine nella nostra lingua. Non trovando una soluzione soddisfacente, hanno deciso di lasciare nella versione italiana il termine inglese; quindi, il Manuale Diagnostico in versione italiana riporta come termine per l’area delle dipendenze proprio Addiction. Da allora utilizzare questo termine in italiano non è più un segno di esterofilia.
Qual è il significato di addiction? L’opinione più comune è che il termine derivi dal latino addictus, che significa schiavo, dipendente da un padrone, colui che ha compiti da cui non può affrancarsi. In italiano non è utilizzabile perché la sua traduzione sarebbe letteralmente addetto o semanticamente schiavo. Addetto è un termine che richiama l’avere un compito, in genere legittimo (addetto stampa, addetto alla logistica, addetto alle pulizie) e quindi perde il significato di condizione patologica. Schiavo viene a volte utilizzato (schiavo della droga), ma è un termine che implica un giudizio sprezzante che non può certo essere utilizzato come diagnosi medica (paziente affetto da “schiavitù della droga”?). In conclusione, nel linguaggio medico internazionale si è affermato il termine Addiction e in Italia lo si usa appropriatamente perché è ufficializzato dalla versione italiana del DSM 5.
Quali altri termini sono diffusi in Italia?
TOSSICODIPENDENZA è certamente il termine più classico per riferirsi all’uso di droghe. Esprime il concetto che si è in presenza di una dipendenza da un “tossico”, cioè da una sostanza velenosa. È un termine immediatamente comprensibile, ma oggi tende ad essere usato meno sia perché è stato sovraccaricato, nel linguaggio comune, di un significato negativo, sia perchè la scena si è arricchita di dipendenze che non prevedono l’assunzione di sostanze tossiche: dipendenze da gioco d’azzardo, da sesso, da shopping, da lavoro, da rischio, da internet, da videogiochi, eccetera.
Si preferisce adesso utilizzare DIPENDENZA PATOLOGICA, che sembra un termine più generale e che comprende tutto. Spesso “patologica” è sottinteso e si utilizza in breve DIPENDENZA.
Si usa anche DISTURBO DA USO DI SOSTANZE, forma più tecnica e derivata dalla traduzione del Substance Use Disorders impiegato dagli anglosassoni. Viene utilizzato essenzialmente nelle relazioni cliniche.
Tirando le fila, per parlare di dipendenza abbiamo a disposizione una serie di termini in parte sovrapposti e in parte diversi, tutti comprensibili e accettabili. L’importante è che non si perda di vista il cuore del problema, cioè che siamo di fronte ad una relazione tra un soggetto e un oggetto (sostanza chimica o oggetto mentale) che genera gravi problemi di funzionamento nella persona e nel suo ambiente.
USO, ABUSO, DIPENDENZA, MANIA
Questi termini sono utilizzati per descrivere il tipo di relazione che si struttura tra il soggetto e l’oggetto che può dare dipendenza.
ASTINENZA
Con Astinenza si indica in genere la sindrome (sindrome astinenziale, crisi di astinenza) che deriva dalla interruzione o riduzione significativa della quantità di una sostanza assunta abitualmente, quando avviene in tempi rapidi che non consentono all’organismo di adattarsi al cambiamento.
Le droghe assunte in modo regolare e frequente inducono l’organismo ad adattarsi alla loro presenza (in termini tecnici, regolazione allostatica): la improvvisa mancanza delle sostanze crea uno squilibrio che viene avvertito soggettivamente con dei sintomi sgradevoli e anche con intenso malessere.
Si è discusso della differenza tra astinenza fisica e astinenza psicologica: anche se è vero che con alcune sostanze i sintomi fisici sono imponenti e prendono quasi tutta l’attenzione (con gli oppiacei e soprattutto con l’alcol; l’alcol è l’unica droga che provoca una crisi di astinenza potenzialmente mortale), mentre con altre sono meno eclatanti, il malessere psicologico è sempre presente. In pratica, bisogna considerare che in qualsiasi dipendenza la sindrome da astinenza è inestricabilmente psicofisica e i disturbi fisici e psichici si rinforzano reciprocamente.
La sindrome da astinenza, fatta eccezione per l’alcol dove si può avere un esito mortale se non è adeguatamente trattata, si risolve nel giro di alcuni giorni spontaneamente a mano a mano che l’organismo ritrova un suo equilibrio senza la droga, ma non sparisce completamente se non nell’arco di settimane o mesi. La “coda” dell’astinenza si può protrarre a lungo con sintomi psicofisici sfumati (difficoltà a riposare bene, leggera astenia, vaga sensazione di non stare bene, umore non brillante, irritabilità) ma non per questo meno fastidiosi; il protrarsi di questi disturbi astinenziali aumenta la tensione nel soggetto e possono essere causa di eventuali ricadute, che avvengono per cercare una pausa di sollievo.
ASTENSIONE, REMISSIONE
Per non creare confusione, è bene parlare di Astinenza per riferirsi alla sindrome dovuta alla interruzione rapida della assunzione di droga e di Astensione o Remissione per riferirsi ai periodi liberi dall’uso di droghe (periodi drug free) senza disturbi.
TOLLERANZA
La Tolleranza è un meccanismo fisiologico di adattamento dell’organismo alla presenza di una sostanza o di uno stimolo.
L’introduzione di una droga provoca effetti che non sono abituali per l’organismo, che quindi utilizza delle strategie per neutralizzarli o minimizzarli. Possono essere attivate vie metaboliche per inattivare chimicamente la droga in modo più efficiente, possono venire ridotti i recettori cellulari a cui la droga si lega, possono esserci meccanismi di apprendimento per cui si riescono a correggere sul piano comportamentale gli effetti complessivi.
Conseguenza della Tolleranza è che la dose abituale con il tempo dà meno effetti; se si vuole mantenere la stessa intensità dell’effetto, bisogna aumentare la dose. Questo è uno dei meccanismi dell’escalation dell’uso di droga.
Tra i metodi per aumentare la dose efficace, c’è quello di cambiare via di assunzione: per via orale, gran parte della droga è distrutta dai processi digestivi e solo una piccola parte viene assorbita; per via endovenosa o per via inalatoria, attraverso l’enorme quantità di vasi sanguigni presenti nei polmoni, la percentuale di droga che rimane attiva e viene assorbita è molto maggiore. Questo spinge, ad esempio, a passare dallo “sniffo” di eroina alla via endovenosa o dalla cocaina in polvere al crack (che è cocaina modificata chimicamente) che può essere fumato.
Nelle situazioni di lunga durata la tolleranza è talmente elevata che gli effetti delle droghe non sono più “premianti”; in molti casi di tossicodipendenza cronica l’uso della droga è mantenuto essenzialmente da meccanismi di profonda abitudine (per capire meglio, si pensi a chi è abituato a prendere un farmaco per dormire bene: anche quando il farmaco non fa più il suo effetto farmacologico, non prenderlo crea una condizione di ansia e di tensione per cui sembra impossibile sospenderne l’assunzione) e dalla speranza, che non viene mai a mancare, di rinnovare le sensazioni del passato.
CRAVING
Letteralmente significa “brama, smania, desiderio intenso e incontrollabile” e si riferisce al periodo che parte dall’attivazione involontaria del pensiero ossessivo di assumere droga e che giunge, attraverso una escalation della sensazione di urgenza, fino alla “scarica motoria”, cioè fino all’assunzione della sostanza o alla messa in atto del comportamento di addiction.
È caratterizzato da una sensazione di “urgenza”, un bisogno che diventa prioritario e che supera ogni altro pensiero, necessità, ragionamento, criterio. Il pensiero non può essere scacciato né controllato.
I meccanismi di insorgenza del craving non sono completamente conosciuti, ma si sa che sono complessi e coinvolgono un ampio numero di meccanismi neurobiologici e psicologici automatici; certamente si tratta di un aspetto in cui la volontà non ha un ruolo primario, perché il pensiero “salta fuori” senza alcuna premeditazione. Per tentare di comprenderlo meglio, può essere paragonato alla necessità che ha una persona con un disturbo ossessivo di controllare, ad esempio, se la porta di casa è chiusa; anche dopo aver controllato, il dubbio può insorgere nuovamente e non c’è ragionamento o rassicurazione che basti per fermarlo: la persona ossessiva deve per forza tornare nuovamente a controllare, pena uno stato di malessere intenso e di agitazione incontrollabile. Quindi è un meccanismo che non dipende dalla volontà o dall’intenzione, ma da una spinta interna automatica e irrazionale, potente quanto non controllabile.
Il craving può essere scatenato da stimoli particolari (cues) come luoghi, incontri di persone, situazioni, oppure insorgere in seguito a stati emotivi interni (tensione, noia, tristezza, irritazione e, paradossalmente, entusiasmo, euforia, gioia), ma si innesca anche in modo imprevedibile e inspiegabile. Fa parte dei meccanismi con cui si mantiene l’addiction, perché la forza incontrollabile del craving può portare alla ricaduta anche dopo periodi prolungati di astensione.
Quando si è avviato il meccanismo del craving non è impossibile che si riduca da solo, ma è davvero molto difficile interromperlo; va pertanto gestito puntando soprattutto sulla prevenzione, con una serie di accorgimenti sia riguardanti l’ambiente sia l’igiene mentale e la psicoeducazione.
RICADUTA, RECIDIVA
L’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, considera la dipendenza una patologia “cronica e recidivante”; riconosce, cioè, che è una condizione che tende a durare a lungo nel tempo e a ripresentarsi periodicamente anche dopo fasi più o meno lunghe di remissione.
Con Recidiva dobbiamo riferirci ad una nuova fase di scompenso e di addiction attiva che si struttura dopo un intervallo di remissione (drug free). Cioè ci si trova, dopo un periodo in cui si era stabilizzata l’astensione dalla droga, nuovamente di fronte ad un problema di uso continuativo, che richiede un nuovo ciclo di trattamento intensivo.
Il termine Ricaduta può essere utilizzato per riferirsi agli “incidenti di percorso” che possono avvenire (e, purtroppo, normalmente avvengono) durante un trattamento ancora non concluso: il distacco dalla droga e la disassuefazione raramente sono un “percorso netto”, ma attraversano alti e bassi in cui un episodio circoscritto di uso di sostanze è sempre possibile. Se si tratta, appunto, di un singolo episodio, in genere non interferisce con il programma di cura a patto che venga immediatamente discusso e analizzato con il terapeuta.
Sia la Recidiva sia la Ricaduta vanno trattate con molta attenzione perché possono portare allo scoraggiamento e all’abbandono del percorso terapeutico: il fatto di “tornare indietro” produce l’Effetto di Violazione dell’Astensione (AVE: Abstinence Violation Effect), costituito da vissuti depressivi, compromissione dell’autostima e del senso di autoefficacia, convinzione di non farcela, sfiducia in sé e nella terapia.
CRONICITÀ
L’addiction è una condizione che tende a durare nel tempo perché è una esperienza che trasforma radicalmente la persona e che si fissa nella memoria in modo incancellabile. Molti meccanismi legano la persona all’oggetto della sua dipendenza e fanno sì che l’interruzione della relazione patologica sia difficile e costituisca un processo prolungato e sofferto.
In altre schede sono affrontati nei dettagli questi meccanismi: per ora ci basti affermare che a fronte dei tempi lunghi necessari per un esito positivo della cura, la cronicità non è una condanna. Anche se rimarrà sempre parte della storia di vita della persona, è certamente possibile superare in modo solido e stabile l’esperienza della dipendenza.
REWARD, GRATIFICAZIONE
È molto diffusa la nozione che le droghe provochino una sensazion di piacere stimolando il rilascio nel cervello di dopamina, considerata appunto la “molecola del piacere”. Questo è un effetto comune a tutte le droghe, anche quando producono altre conseguenze molto diverse tra loro.
Quindi, perché una sostanza sia una droga, oltre ai suoi effetti particolari, deve avere attivare questo meccanismo comune.
La stimolazione del rilascio di dopamina nel cervello è studiata anche per le dipendenze da gioco, da sesso, eccetera, proprio perché oggi è considerata il meccanismo più importante della dipendenza: per questi tipi di dipendenza gli studi sono ancora in corso e le evidenze scientifiche non sono definitive.
Va però ben compreso questo effetto; il “piacere” nel caso dell’addiction non è una sensazione puntuale e circoscritta, un godimento estatico e breve, un orgasmo. È soprattutto la sensazione di stare profondamente bene, di pienezza e soddisfazione completa. E che cosa è che fa sentire profondamente soddisfatti di vivere, di essere al mondo?
Le vie neurologiche della dopamina nel cervello sono quasi sovrapposte a quelle dell’ossitocina, che è la molecola che suscita l’attaccamento amoroso (viene prodotta in modo massiccio durante il parto e sostiene lo sviluppo del legame madre-neonato): tra le due c’è un profondo intreccio.
Il piacere dell’addiction riproduce chimicamente la sensazione che si ha quando ci si sente profondamente amati e legati a qualcuno, quando si sente che il mondo ci ama, è buono, generoso di frutti e noi possiamo goderne pienamente, espandendo la nostra personalità, liberi da ogni schiavitù, sofferenza, ingiustizia.
Il Reward, la Gratificazione nell’addiction non è quindi soltanto un effetto meccanico, una scarica energetica istantanea, ma è una profonda modulazione dello stato affettivo; la persona può sperimentare la sensazione di pieno benessere che si prova quando ci si sente amati senza condizioni o quando ci si apre al mondo con la sensazione di poterne godere pienamente ma con una particolarità: non c’è bisogno di qualcuno che ami davvero o di espandersi davvero nel mondo. Si prova la sensazione “come se”; ma è talmente intensa e convincente che è come se fosse reale. Il “vantaggio dell’addiction è che questa sensazione può essere provata quando si vuole senza dipendere da niente e nessuno: nel mondo reale farsi amare o poter godere delle cose del mondo non è così scontato e immediato, dipende sempre da qualcun altro o dalle condizioni esterne.
Questa profonda sensazione di benessere, vissuta in direzione più intima (il calore dell’amore: oppiacei) o più espansiva (l’euforia dell’aprirsi al mondo: stimolanti) è il meccanismo che fa sembrare il ritorno alla vita “normale”, costellata di fatiche, delusioni, rinunce, frustrazioni, qualcosa di insopportabile e spinge a rifugiarsi di nuovo in un sollievo artificiale.
La gratificazione nell’addiction non è quindi paragonabile ad un “premio”, come il bocconcino per l’animale che ha eseguito bene il compito, ma come una modulazione del proprio stato emozionale e affettivo profondo, che fa sperimentare e intuire, per un attimo, cosa può essere vivere in un mondo pieno di amore e di possibilità.
Questo è un tema di riflessione importante per avvicinarsi nel modo corretto e con la necessaria pazienza al percorso di cura.